Il rapporto “Paying Taxes 2018” analizza i sistemi fiscali degli Stati europei e mondiali. I dati dell’Italia, che si posiziona comunque nel complesso solo al 112° posto su 190 economie confrontate, mostrano un costante ma lento miglioramento del carico tributario e contributivo sui profitti d'impresa. Di contro, la situazione è ancora preoccupante per il settore dei rimborsi IVA, connotato da una lentezza cronica, e per gli adempimenti fiscali, attanagliati da una complicazione spasmodica. Il trend dovrebbe migliorare nei prossimi anni grazie all’introduzione della fatturazione elettronica.
Per l’Italia le cose in ambito fiscale e contributivo vanno meglio ma la strada per ripianare il divario con gli altri Stati è ancora lunga e tortuosa. L’autorevole rapporto Paying Taxes 2018, predisposto dal World Bank Group e dalla società di servizi PwC, fotografa i sistemi fiscali di 190 Paesi mostrandone vizi e virtù.
Nello specifico lo studio confronta:
- il grado di facilità nel pagare le tasse;
- il peso del prelievo tributario e contributivo sugli utili aziendali;
- i costi diretti e indiretti di compliance.
A questi indici si aggiunge anche il cd. post filing index, ovvero la misura dei tempi necessari per ottenere un rimborso IVA o per correggere un mero errore dichiarativo.
I dati dell’Italia
I dati italiani sono in miglioramento, il posizionamento dell’Italia nel ranking rimane tuttavia lontano dalle eccellenze: 112° posto su 190, anche se nel 2015 eravamo 126°. I progressi maggiori riguardano il carico tributario e contributivo sui profitti d'impresa (Total Tax & Contribution Rate o cd. TTCR) pari al 48% per il 2016, sceso di ben 14 punti percentuali dal precedente (62% del 2015).
Il dato nazionale resta comunque superiore alla media mondiale (40,6%) ed europea (39,6%) anche se l’Italia si rivela più competitiva rispetto ad altre economie avanzate comparabili, quali Germania, Svezia, Belgio e Francia che hanno registrato un TTCR superiore. L’apprezzabile progresso è dovuto agli sgravi contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato.
Nota bene
Il posizionamento riferito al TTCR italiano potrebbe migliorare ulteriormente considerato che negli anni precedenti, così come anche per il 2016, il trattamento di fine rapporto (cd. TFR) è incluso nel TTCR.
Sul punto il Report Paying Taxes 2018 riporta testualmente:
“La legislazione italiana prevede che i datori di lavoro accantonino un ammontare rapportato alla retribuzione mensile di ciascun lavoratore, che gli sarà complessivamente corrisposto al termine del rapporto di lavoro subordinato. Il lavoratore ha facoltà di destinare il proprio TFR a forme pensionistiche complementari o di mantenerlo presso il datore di lavoro, ovvero di riceverne parte sotto forma di anticipazione in busta paga soggetta a tassazione ordinaria. La classificazione del TFR è attualmente oggetto di discussione tra l’Amministrazione Finanziaria italiana e la Banca Mondiale. Ai fini del presente e dei precedenti reports, il TFR è trattato quale contributo previdenziale obbligatorio ed è, pertanto, incluso nel calcolo del TTCR. Nel 2016 il TFR ha pesato per 8,6 punti percentuali sul TTCR italiano, pari al 48%”.
L’esito positivo delle discussioni in corso e il riconoscimento del TFR quale componente reddituale differita e non già componente contributiva, nell’accezione ampia del Paying Taxes, vedrebbe l’Italia migliorare ulteriormente e in modo significativo il proprio posizionamento.
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Restano pressoché stabili:
- il tempo necessario per l’effettuazione degli adempimenti fiscali e contributivi.
Il numero delle ore è leggermente sceso, da 240 nel 2015 a 238 nel 2016. Il decremento è dovuto all’abrogazione della comunicazione annuale dei dati IVA anche se la media europea è di gran lunga inferiore (161 ore).
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- il numero dei pagamenti effettuati dalle imprese che, per rispettare le scadenze fiscali e contributive, si sono dovute presentare 14 volte alla cassa, contro le 12 dei cugini comunitari e 24 della media mondiale.
Una nota positiva ed incoraggiante arriva dal settore post-compliance. In Italia si impiegano soltanto 5 ore per rimediare ad un errore dichiarativo, grazie alla presentazione di un modello integrativo e alla possibilità di avvalersi del ravvedimento operoso. In Europa occorrono in media 7,3 ore e 16 a livello globale.
In sintesi
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Italia
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Unione europea
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Mondo
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Total Tax & Contribution Rate
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48,0%
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39,6%
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40,5%
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Time to comply (hours)
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238
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161
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240
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Number of payments
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14
|
12
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24
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Time to obtain VAT refund (weeks)
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62,6
|
16,4
|
27,8
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Nel dettaglio
Indicazioni dell’OCSE
Altro dato incoraggiante per l’Italia arriva dal Rapporto annuale Revenue Statistics dei 35 Paesi membri dell’OCSE. La pressione fiscale nel nostro Paese è scesa nel 2016 al 42,9% del PIL mentre nel 2015 si attestava al 43,3% mentre la media si attesta al 34,3%. Solo i Paesi del Nord Europa (Danimarca, Francia, Belgio, Finlandia e Svezia) fanno peggio anche se in detti Paesi ad una contribuzione fiscale maggiore si accompagnano servizi di gran lunga migliori dei nostri e l’educazione tributaria è ben più sviluppata che in Italia. Diversamente la Germania è al 12° posto con il 37,6% e gli Stati Uniti in fondo alla graduatoria con il 26%.
Il fardello dei rimborsi IVA
In Italia le imprese impiegano ben 42 ore per richiedere un rimborso dell’IVA, incluso il tempo speso per fornire al Fisco le informazioni richieste in sede di audit, contro le 7,1 dei cugini europei e 18,4 ore della media mondiale. Il tempo di attesa del rimborso è di 62,6 settimane, più del doppio della media mondiale (27,8 settimane) e quasi quattro volte la media europea (16,4).
Situazione preoccupante anche per le istanze trasmesse dagli operatori esteri che occupano:
- 7,1 ore (i comunitari),
- 18,4 ore (i soggetti extra-UE).
Ciò incide negativamente sul “distance to frontier” del post-filing index portandolo a 52,4.
Nota bene
Il risultato ampiamente negativo è condizionato dalle specificità del caso-base preso a riferimento nel Report. Per quanto riguarda l’Italia, è da ritenere che un’impresa preferirebbe ricorrere alla compensazione dell’IVA a credito, e non al rimborso, ottenendo così la monetizzazione del beneficio fiscale in tempi più rapidi.
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Recenti interventi con impatti divergenti
Nel 2017 il nostro legislatore ha previsto (art. 1, commi 4-bis e 4-ter, D.L. n. 50/2017), a decorrere dal prossimo 1° gennaio, un’accelerazione dei rimborsi da conto fiscale che verranno pagati direttamente ai contribuenti dalla struttura di gestione prevista dall’art. 22, comma 3, D.Lgs. n. 241/1997, a valere sulle risorse finanziarie disponibili sulla contabilità speciale n. 1778 “Agenzia delle entrate - Fondi di bilancio”.
Per quanto concerne gli adempimenti, un aggravio ulteriore è rappresentato dai nuovi obblighi comunicativi IVA (nuovo spesometro e LIPE), entrati in vigore quest’anno.
Osservazioni
L’Italia, come radiografato dal Paying Taxes 2018, presenta un sistema fiscale complesso, dispendioso e lento nell’erogazione dei rimborsi IVA. La situazione potrebbe, però, migliorare in entrambe le direzioni con l’introduzione, dal 2019, della fatturazione elettronica obbligatoria anche nei rapporti tra operatori economici privati. Ciò porterebbe ad una dichiarazione precompilata e ad un’accelerazione nel soddisfacimento dei crediti IVA.
A livello di sistema bisogna effettuare una dovuta precisazione. Le cifre relative alla pressione fiscale e al costo di compliance, oggetto dell’analisi in commento, mostrano una sola faccia della fiscalità di un determinato Paese, quella contabile.
L’altra è costituita dal sistema tributario nel suo complesso e dalla percezione fuori dai confini domestici della sua coerenza ed affidabilità. Fattori determinanti sono la stabilità delle norme, la certezza interpretativa ed i tempi del contenzioso. Questi elementi incidono in gran parte sulla capacità competitiva dei singoli Paesi nell’attrarre investimenti e capitali, al pari degli indici di pressione fiscale, anche se non vengono rilevati mediante indagini empiriche.
Le scelte di policy fiscale devono essere chiare, coerenti e durature ed avere tempi di esecuzione rapidi. In direzione opposta vanno i condoni fiscali (comunque denominati), male del nostro Paese, in quanto minano l’adempimento tributario spontaneo.
Ricordiamo con nostalgia che nel 1965, nel corso del Miracolo economico, in Italia le tasse rappresentavano solo il 24,8% del PIL, livello allora sotto la media OCSE.
Ma oramai chi lo ricorda più (o chi l’ha mai visto)!
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