Lavoro e Previdenza Per le imprese in crisi

Divieto di licenziamento e cassa integrazione: come orientarsi tra novità e conferme

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Il 30 giugno ha segnato la fine del divieto di licenziamento collettivo e individuale nel settore industriale. Il blocco è stato prorogato solo per le industrie tessili, delle confezioni di articoli di abbigliamento e di articoli di pelle e pelliccia e delle fabbricazioni di articoli in pelle o simili che sospendono o riducono l’attività lavorativa. Tali imprese possono far ricorso a 13 settimane di integrazione salariale nel periodo compreso tra il 1° luglio ed il 31 ottobre, senza il pagamento di alcun contributo addizionale. Quali deroghe al divieto si applicano? E quali sono i nuovi ammortizzatori sociali previsti dal decreto legge n. 99 del 2021 per le imprese in crisi?
La fine del blocco dei licenziamenti nel settore industriale è stata accompagnata da roventi polemiche e prese di posizione che hanno portato l’Esecutivo al varo del D.L. 29 giugno 2021, n. 99 che è andato ad integrare i contenuti sugli ammortizzatori sociali già previsti dal decreto Sostegni bis (D.L. n. 73 del 2021) ed alla sottoscrizione di un avviso comune tra le parti sociali ed il Governo con il quale si “raccomanda” alle imprese che debbono gestire esuberi, di valutare l’opportunità di procedere al ricorso di strumenti integrativi, prima di procedere a licenziamenti individuali per motivi economici o a procedure collettive di riduzione di personale. Si tratta di una raccomandazione che, seppur priva di cogenza normativa, porrà i datori di lavoro interessati di fronte a scelte “condizionate”, atteso che le associazioni sindacali chiederanno, laddove possibile, l’intervento di uno degli strumenti integrativi previsti dagli ultimi Decreti.
Si ha l’impressione che, al di là della conferma delle date di fine blocco dei licenziamenti che restano le stesse (30 giugno per le imprese che ricadono nel campo di applicazione della CIGO -art. 10 del D.Lvo n. 148/2015 – e 31 ottobre per i datori di lavoro che utilizzano l’assegno ordinario o che ricorrono al trattamento in deroga della CIGO o a quello della CISOA per il settore agricolo) prima di procedere ai recessi occorra ben verificare le misure varate con i D.L. n. 73 e n. 99. E’ il caso, ad esempio, della decontribuzione prevista per gli stabilimenti termali e per le aziende del settore del turismo e dei pubblici esercizi (quindi, nella gran parte, non appartenenti al settore industriale). Infatti, la richiesta dello sgravio contributivo pari al doppio delle ore di integrazione fruite nei mesi di gennaio, febbraio e marzo 2021 (misura sottoposta al vaglio della Commissione Europea, ai sensi dell’art. 108, paragrafo 3, del Trattato dell’Unione) preclude la possibilità di licenziamento per motivi economici fino al 31 dicembre 2021.
Ma, andiamo con ordine.

Divieto di licenziamento e Cassa integrazione nel settore manifatturiero

Nel settore manifatturiero la fine del blocco dei licenziamenti per motivi economici non riguarda le industrie tessili, delle confezioni di articoli di abbigliamento e di articoli di pelle e pelliccia e delle fabbricazioni di articoli in pelle o simili, contrassegnate dai codici ATECO 2007, n. 13, 14 e 15 che sospendono o riducono l’attività lavorativa: esse possono far ricorso a 13 settimane di integrazione salariale nel periodo compreso tra il 1 luglio ed il 31 ottobre ai sensi degli articoli 19 e 20 del D.L. n. 18/2020, per tutti i lavoratori in forza alla data del 30 giugno 2021 e senza il pagamento di alcun contributo addizionale.
Due puntualizzazioni sono, a mio avviso, necessarie, in quanto scaturiscono dallo stesso dettato normativo.
La prima riguarda l’assenza di una specifica causale legata al COVID-19, pur essendo, tale integrazione “figlia” dell’emergenza pandemica: qui occorrerà attendere i chiarimenti amministrativi da parte dell’INPS, in mancanza dei quali si potrà chiedere l’intervento richiamando la disposizione (articoli 19 o 20 del D.L. n. 18).
La seconda (art. 20 del D.L. n. 18) consentirà alle imprese che stanno fruendo di un periodo di CIGS debitamente autorizzato dalla Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e della Formazione del Ministero del Lavoro, di convertire il trattamento in integrazione salariale ordinaria, secondo l’iter procedimentale delineato, in passato dagli organi amministrativi.
L’art. 4 del D.L. n. 99 sottolinea che:
· Le istanze debbono essere presentate entro la fine del mese successivo a quello nel quale ha avuto inizio la sospensione o la riduzione di orario;
· La copertura economica per il 2021 è pari a 185,4 milioni di euro che l’INPS è tenuta a monitorare, continuamente, anche in via prospettica, per evitare che l’accettazione delle domande provochi un “buco finanziario”, andando oltre lo stanziamento.
Per tali aziende, fino al prossimo 31 ottobre è precluso qualsiasi licenziamento per giustificato motivo oggettivo, come è preclusa, qualsiasi iniziativa destinata ad aprire (o continuare) procedure collettive di riduzione di personale.

Deroghe al divieto di licenziamento

E’, sempre, possibile, invece, percorrere quelle vie d’uscita nelle quali la riduzione di personale resta ammessa. Esse sono le stesse già evidenziate, nel corso del 2020, dalla decretazione di urgenza e, poi, dalla stessa legge n. 120/2020 e dai D.L. successivi:
a) Cambio di appalto con la riassunzione del personale da parte del datore di lavoro subentrante nel rispetto di un obbligo di legge (ad esempio, art. 50 del codice degli appalti), di contratto collettivo (ad esempio, l’art. 4 del CCNL multiservizi) o di una clausola contenuta nel contratto di appalto;
b) Licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’impresa, conseguenti anche alla messa in liquidazione della società, a meno che non si configuri una cessione totale o parziale dell’azienda, nel qual caso scatta la tutela dell’art. 2112 c.c. per ogni lavoratore interessato, con la conseguente illegittimità dei recessi;
c) Accordo collettivo aziendale stipulato con le organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale (in sostanza, con le organizzazioni territoriali di categoria, ma non con le RSA o le RSU che, tuttavia, possono, a mio avviso, aggiungere la propria firma “ad abundantiam”), limitatamente ai lavoratori che aderiscono. Questi ultimi hanno diritto alla NASpI, in presenza dei requisiti oggettivi e soggettivi richiesti dal D.L.vo n. 22/2015, secondo le indicazioni fornite dall’INPS con la circolare n. 111/2020 (richiesta del trattamento di disoccupazione con accordo allegato e dichiarazione di adesione). Il datore di lavoro è tenuto al pagamento contributo di ingresso alla NASpI nella misura ordinaria. Nell’accordo collettivo che, a mio avviso, va siglato entro il giorno di scadenza del “blocco dei licenziamenti” pur potendo le risoluzioni dei rapporti avvenire in data successiva (ma di questo avviso, non è l’INPS alla luce della “eccezionalità” della disposizione rispetto alla casistica generale), le parti individuano i profili eccedentari e possono (non è un obbligo) identificare il “quantum” a titolo di incentivo all’esodo che può essere diversificato in ragione del profilo professionale, dell’anzianità e delle singole situazioni, non dimenticando anche ipotesi di pensionamento anticipato anche attraverso le procedure del contratto di espansione che, per il 2021, riguarda le imprese con un organico superiore alle 100 unità, come previsto dal D.L. n. 73/2021. Nell’accordo, le parti possono anche convenire che i singoli accordi di risoluzione siano sottoscritti “in sede protetta” ex art. 410 o 411 cpc, cosa che evita al lavoratore la procedura telematica di conferma della risoluzione consensuale o delle dimissioni attraverso la procedura telematica individuata dall’art. 26 del D.L.vo n. 151/2015 e dal conseguente D.M. applicativo. L’accordo collettivo può avvenire anche a seguito di procedura collettiva di personale (criterio delle risoluzioni consensuali ex art. 5 della legge n. 223/1991) che, è possibile in quanto prevista come eccezione alla regola generale: in tale quadro, sempre come eccezione, possono essere riprese anche le procedure individuali ex lege n. 604/1966;
d) Fallimento, nel caso in cui non vi sia una prosecuzione, anche parziale dell’attività, magari autorizzata dall’autorità giudiziaria.

Contratto di solidarietà difensivo e altri ammortizzatori sociali

Altri due ammortizzatori sono stati ipotizzati dal Legislatore: essi si accompagnano a quelli che il decreto Sostegni bis ha già ipotizzato e che hanno avuto già momenti di riflessione su questo Quotidiano.
Mi riferisco al “contratto di solidarietà difensivo “personalizzato ed a tempo” (26 settimane fruibili dai datori che hanno avuto un calo di fatturato pari almeno al 50% nel raffronto tra il primo semestre 2019 e lo stesso periodo del 2021) ed agli ammortizzatori ordinari e straordinari previsti dall’art. 40, comma 3, che i datori di lavoro interessati possono utilizzare senza il pagamento di alcun contributo addizionale e senza alcuna computabilità ai fini del quinquennio o del biennio mobile e che, comunque, sbarrano la strada ai licenziamenti per tutto il periodo compreso tra la data di invio dell’istanza di Cassa ordinaria o straordinaria e la fruizione completa dell’ammortizzatore.
Con il comma 1 dell’art. 4 del D.L. n. 99 del 2021, l’Esecutivo ha prorogato di 6 mesi e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2021, l’integrazione salariale per le aziende che hanno cessato l’attività o che rischino di farlo. Essa è subordinata al raggiungimento di un accordo tra azienda e organizzazioni sindacali, sottoscritto al Ministero del Lavoro, con la partecipazione di funzionari dei Ministeri dello Sviluppo Economico, delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile e delle Regioni interessate, dal quale dovrebbero risultare impegni finalizzati alla ricollocazione del personale, o al passaggio di proprietà dell’impresa ed alla riqualificazione professionale. La norma prevede una dotazione finanziaria per il corrente anno e per il 2022, nonché un aumento della dotazione del Fondo di solidarietà del settore aereo (cosa che interessa “in primis” l’Alitalia).

Imprese per le quali è aperto un “tavolo di crisi”

Con il comma 8 dell’art. 4, poi, è stato inserito nel “corpus” del DL. n. 73, l’art. 40 - bis. Di cosa si tratta?
Destinatarie sono le imprese che si trovano a fronteggiare situazioni di particolari difficoltà e per le quali è aperto un “tavolo di crisi” presso il Dicastero dello Sviluppo Economico: esse, se non hanno la possibilità di ricorrere ai trattamenti di integrazione previsti dal D.L.vo n 148/2015, possono richiedere, nel limite complessivo di spesa per il 2021 pari a 351 milioni di euro, un trattamento straordinario di integrazione salariale in deroga per un massimo di 13 settimane da fruire entro il prossimo 31 dicembre. L’Istituto, anche in questo caso, monitora la spesa anche in via prospettica.
Alcune precisazioni, in attesa dei chiarimenti dell’INPS o del Ministero del Lavoro, si rendono, a mio avviso, necessari.
Il primo riguarda il significato della frase “che non possono ricorrere ai trattamenti salariali previsti dal D.L.vo n. 148/2015”. Essa significa che, prima di chiedere il nuovo ammortizzatore, il datore di lavoro deve aver esaurito quelli previsti dal D.L.vo n. 148/2015, ivi compreso quello previsto dall’art. 40, comma 3, del D.L. n. 73 che, ricordo, prevede un massimo di 26 settimane tra il 26 maggio ed il 31 dicembre 2021 e che, quindi, dovrebbe coprire, ampiamente, le esigenze datoriali.
Il secondo concerne il richiamo alla non applicazione degli articoli 4, 5, 12 e 22 del D.L.vo n. 148/2015. Ciò significa che:
· Le 17 settimane non rientrano nel computo della durata massima degli ammortizzatori all’interno sia del biennio che del quinquennio mobile;
· Non è previsto il pagamento di alcun contributo addizionale che l’art. 5 prevede nella misura del 9%, del 12% e del 15% sulla retribuzione che sarebbe spettata ad ogni lavoratore per le ore non prestate. Il contributo addizionale, come è noto, varia in relazione al fatto che sia fruito, rispettivamente, nei primi 12 mesi, nei mesi successivi fino al ventiquattresimo e, poi, oltre;
· Non incide sulla durata massima della integrazione salariale ordinaria;
· Non incide sulla durata massima della integrazione salariale straordinaria.

Fondo per il potenziamento delle competenze e la riqualificazione professionale

Da ultimo, con una dotazione per il 2021 di 5 milioni di euro il comma 11 del nuovo articolo 40 - bis (che, ripeto, viene aggiunto in “coda” all’art. 40 del D.L. n. 73) viene istituito il “Fondo per il potenziamento delle competenze e la riqualificazione professionale”, destinato al finanziamento di progetti formativi i cui destinatari sono i lavoratori per i quali sia stata programmata una riduzione oraria superiore al 30% rapportata su base annua ed i disoccupati percettori della NASpI.
La piena operatività del provvedimento è demandata ad un Decreto Ministeriale “concertato” tra i Ministri del Lavoro e dell’Economia, d’intesa con la Conferenza Stato – Regioni, finalizzato ad individuare sia i criteri che le modalità di utilizzo delle risorse. Tale decreto dovrebbe vedere la luce entro i sessanta giorni successivi all’entrata in vigore del D.L. n. 99 (30 giugno 2021), ossia entro il 29 agosto.

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