Con la risposta a interpello n. 600 del 17 settembre 2021, l’Agenzia delle Entrate ha confermato il proprio orientamento interpretativo in base al quale il reddito prodotto dalle società tra professionisti è considerato quale reddito d’impresa nei casi in cui opera la presunzione assoluta sancita dagli articoli 6 e 81 del TUIR. La posizione dell’Agenzia è senz’altro corretta, a differenza di quella espressa dalla Sezione terza civile della Suprema Corte: nella sentenza n. 7407/2021, infatti, la Corte di Cassazione ha affermato che deve farsi riferimento alla nozione civilistica di impresa, che è stata ritenuta analoga a quella di autonoma organizzazione stabilita ai fini dell’IRAP.
Nel comma 3 dell’art. 10 della legge n. 183/2011, è stabilito che la costituzione di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico è consentita secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del Codice civile. Può, pertanto, essere adottata la veste della società semplice, della società commerciale di persone (S.n.c. o S.a.s.) o della società di capitali (S.p.a., S.a.p.a., S.r.l.), compresa quella cooperativa costituita da un numero di soci non inferiore a tre. Nel successivo comma 5 è previsto che la denominazione sociale, in qualunque modo formata, deve contenere “l’indicazione di società tra professionisti” (STP).
La questione riguardante la natura del reddito prodotto da tali società quando le stesse sono costituite sotto forma di società commerciali di persone e di società di capitali è stata a lungo controversa e si auspica che la condivisibile interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, che ha posto fine a tale problematica, non sia in futuro più messa in dubbio dalla Corte di Cassazione.
Le precedenti pronunce dell’Agenzia
L’Agenzia delle Entrate ha chiarito la propria posizione a partire dalla risoluzione 4 maggio 2006, n. 56/E, anche se la stessa non ha riguardato le STP bensì le società di ingegneria costituite sotto la forma giuridica di società di capitali di cui all’art. 17, comma 6, lettera b), legge n. 109/1994. In tale occasione era stato affermato che gli articoli 6 e 81 TUIR sanciscono il principio di carattere generale in base al quale il reddito complessivo delle società commerciali di persone e delle società di capitali, da qualsiasi attività provenga, è considerato reddito d’impresa e non assume, quindi, “alcuna rilevanza, ai fini della qualificazione del reddito dalle stesse prodotto, il presupposto oggettivo, essendo a tal fine determinante l'esistenza del semplice presupposto soggettivo” e che “non possano sorgere dubbi circa la natura del reddito prodotto da dette società che, sulla base del richiamato art. 81 del T.U.I.R., rientra nella categoria del reddito d'impresa per il solo fatto di essere realizzato da un soggetto costituito in una veste giuridica societaria”.
Nella risoluzione del 28 maggio 2003, n. 118/E, concernente le società tra avvocati, l’Agenzia aveva, invece, sostenuto che l’esercizio in forma associata dell'attività di avvocato, realizzato utilizzando il modello societario di cui al D.Lgs. n. 96/2001, deve essere ricondotto nell'ambito del lavoro autonomo. Tale diversa conclusione era stata adottata perchè tale modello non è riconducibile a quelli delle società commerciali di persone e delle società di capitali disciplinati nel Codice civile e allo stesso non è, di conseguenza, applicabile la presunzione assoluta di cui agli articoli 6 e 81 TUIR.
La questione è stata successivamente affrontata in sede di risposta agli interpelli
del 9 maggio 2014, n. 954-93, e del 16 ottobre 2014, n. 954-55, (non pubblicati) e nella
risoluzione 7 maggio 2018, n. 35/E, nella quale è stato affermato (sulla base del parere fornito dalla Direzione legislazione tributaria e federalismo fiscale del Dipartimento delle Finanze con nota del 19 dicembre 2017, n. 43619, in cui è stato evidenziato che per tali società, in mancanza di deroghe normative espresse “sembra difficile valorizzare l’elemento oggettivo della professione forense esercitata a discapito dell’elemento soggettivo dello schermo societario”) che le
STP “non costituiscono un genere autonomo con causa propria ma
appartengono alle società tipiche regolate dal Codice civile e, come tali, sono soggette integralmente alla disciplina legale del modello societario prescelto”. È stato, pertanto, ritenuto che, “in assenza di una esplicita norma, l’esercizio della
professione forense svolta in forma societaria costituisce
attività d’impresa, in quanto risulta determinante il fatto di operare in una veste giuridica societaria piuttosto che lo svolgimento di un’attività professionale”.
La posizione della Cassazione
La Terza sezione della Corte di Cassazione ha, invece, criticato, nella
sentenza del 17 marzo 2021, n. 7407 , “quello che è stato definito, in dottrina, come un affastellarsi disordinato e contraddittorio di risoluzioni dell'Agenzia delle Entrate”, che non hanno “certo favorito lo scioglimento dei dubbi interpretativi” e ha sostenuto che la soluzione della questione andrebbe rintracciata “nelle norme civilistiche, ed in particolare nell'art. 2238 c.c.” perché i principi contenuti nei detti articoli 6 e 81 del TUIR sarebbero stati formulati “in un'ottica puramente soggettiva” mentre “sul piano oggettivo il medesimo reddito andrebbe più correttamente qualificato come da lavoro autonomo”, attesa la “natura eminentemente professionale dell'attività svolta”, la quale “ai sensi di quanto disposto dall'art. 53 del TUIR, genera […]
redditi di lavoro autonomo”.
È stato, altresì, affermato che “perché in una società tra professionisti possa aversi attività imprenditoriale, occorre anche una attività diversa e ulteriore rispetto a quella professionale, per cui il conferimento dell'apporto intellettuale si configura solo come una delle componenti dell'organizzazione, e ciò in quanto l'attività autonomamente organizzata non potrebbe identificarsi in quella tipica svolta dal professionista intellettuale, connotata dal carattere della personalità (art. 2232 c.c.), presupponendo quel profilo di autonoma organizzazione di cui agli artt. 2082 e 2238 c.c.”.
La Corte ha, pertanto, concluso che, “similmente a quanto accade ai fini del riconoscimento della debenza dell'IRAP da parte dei liberi professionisti, da escludersi nel caso di una attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione, […] anche ai fini dell'applicazione della ritenuta di acconto alle società tra professionisti, la qualificazione come reddito di impresa, del reddito dalle stesse prodotte, presuppone che le prestazioni di lavoro autonomo costituiscano elemento di un'attività organizzata in forma d'impresa, risultando, così, inserite in strutture che sono frutto dell'impiego del capitale, ovvero che il lavoro del professionista ed il capitale concorrano entrambi nella produzione del reddito, sicché quest'ultimo non potrà ritenersi derivante dal solo lavoro, ma dall'intera struttura imprenditoriale” (il caso oggetto della decisione riguardava l’opposizione, da parte di una società assicurativa, a un decreto monitorio che le ingiungeva il pagamento, in favore di uno studio legale costituito sotto forma di STP S.r.l., dell'importo di 508,90 euro, dalla prima trattenuto a titolo di ritenuta d'acconto sulla maggior somma di 3.626,97 euro, corrisposta a titolo di onorario per la composizione bonaria di una controversia. Il decreto ingiuntivo era stato ottenuto sul presupposto che la società “avesse indebitamente operato la ritenuta d'acconto, non applicabile nel caso di specie, come chiarito dall'Agenzia delle entrate […], essendo lo studio legale costituito nella forma della società di capitali e, dunque, dovendo considerarsi, per ‘attrazione’, quale reddito di impresa la somma dovutagli come onorario per l'avvenuta transazione”).
L’impostazione interpretativa della Suprema Corte non appare assolutamente condivisibile, innanzitutto perché la soluzione della questione va ricercata non “nelle norme civilistiche, ed in particolare nell'art. 2238 c.c.” bensì nei già citati articoli 6 e 81 del TUIR, in cui è stata espressamente chiarita, mediante una presunzione assoluta, la natura del reddito prodotto dalle società commerciali di persone e dalle società di capitali, in deroga alla stessa nozione di reddito d’impresa contenuta nell’art. 55 del TUIR.
Inoltre, alle società in esame non è applicabile la nozione di “autonoma organizzazione” richiamata dalla Corte di Cassazione e ciò non solo perché la stessa non è stabilita ai fini delle imposte sui redditi bensì dell’IRAP ma anche perché nell’art. 2, comma 1, ultimo periodo, è espressamente stabilito, ai fini di quest’ultimo tributo, che “l’attività esercitata dalle società […] costituisce in ogni caso presupposto d’imposta”.
Si ritiene, quindi, che la sentenza n. 7407 del 2021 vada considerata un “incidente di percorso”, probabilmente dovuto anche alla circostanza che la stessa è stata emessa dalla Sezione Terza civile e non dalla Sezione Quinta, che si occupa ordinariamente delle controversie riguardanti la materia tributaria.
La risposta a interpello n. 600 del 2021
Nella
circolare n. 9/E del 23 luglio 2021, l’Agenzia delle Entrate ha affermato che le STP titolari di reddito d’impresa possono avvalersi “sia del credito d’imposta per investimenti in beni strumentali materiali e immateriali 4.0 (commi 1056, 1057 e 1058 della legge di Bilancio 2021), sia del credito d’imposta per investimenti in beni strumentali materiali e immateriali “ordinari” (commi 1054 e 1055 della legge di bilancio 2021)”.
La questione è stata presa ulteriormente in esame nella
risposta a interpello del 16 settembre 2021, n. 600, nella quale è stato ancora una volta affermato che le previsioni di cui agli articoli 6, ultimo comma, e 81 del TUIR, si applicano anche con riguardo alle STP e che per la
qualificazione del reddito dalle stesse prodotto “non assume alcuna rilevanza, pertanto, l'esercizio dell'attività professionale, risultando a tal fine determinante il fatto di operare in una veste giuridica societaria”.
Tale conferma appare particolarmente significativa anche perché il contribuente aveva richiamato nella propria istanza l’orientamento contrario espresso dalla Corte di cassazione.
Di conseguenza, le dette società possono fruire anche del credito d’imposta relativo ai beni materiali Industria 4.0, mentre i titolari di reddito di lavoro autonomo possono beneficiare soltanto di quello “non Industria 4.0”.
Le STP possono, altresì, utilizzare il credito d'imposta previsto, dall’art. 1, commi da 98 a 108, della legge n. 208/2015, per gli investimenti destinati a strutture produttive ubicate nelle zone assistite delle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Molise, Sardegna e Abruzzo, che spetta ai titolari di reddito d’impresa.
Nella risposta ad interpello n. 600 del 2021 è stato, infine, ribadito che le due misure agevolative sono cumulabili, a condizione che non venga superato il costo sostenuto per l'investimento (come già affermato nella risposta ad interpello n. 360 del 2020), e che il credito di imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno concorre alla formazione sia del reddito d’impresa che della base imponibile dell’IRAP (come già chiarito nella circolare n. 34/E del 2016).
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