La via per valorizzare l’opera di Garante del contribuente è stretta. Non, però, fino a perdersi, se ci si collega alle potenzialità del testo dello Statuto sviluppandole alla luce delle proposte di integrazione previste nell’ambito dei progetti di riforma della giustizia tributaria. Un segnale promettente, da salutare con favore, arriva dalla relazione della Commissione consultiva per la riforma della giustizia tributaria che, tra gli interventi diretti a prevenire il contenzioso, indica l’introduzione nello Statuto di un effettivo diritto al contraddittorio e la previsione dei casi di autotutela obbligatoria, che sono anche i punti sui quali da più parti si chiede che le facoltà del Garante siano rafforzate. Dunque, ancora, contraddittorio e autotutela: le due “incompiute” dell’apparato di garanzie in favore del contribuente.
Il garantismo è l’altra faccia del costituzionalismo, così come le garanzie sono l’altra faccia dei diritti costituzionalmente stabiliti. Tutti i diritti richiedono leggi di attuazione, cioè l’introduzione di efficaci garanzie e di adeguate istituzioni e funzioni di garanzia, senza le quali sono destinati a rimanere sulla carta.
Se si considerano le cose da questo punto di vista, due fenomeni acquistano evidenza, rispetto ai quali la valorizzazione del ruolo del Garante può concorrere ad assicurare un maggior grado di effettività ai diritti del contribuente.
Il primo è il pieno dispiegamento, sul piano della cultura giuridica e della prassi, di un cambiamento di paradigma nel modo di intendere l’amministrazione dei tributi. Il cambiamento per cui da una amministrazione che convogliava tutte le proprie energie al confezionamento di atti capaci di superare il vaglio di legalità (amministrazione per atti), si è passati a un’amministrazione proiettata alla migliore tutela dell’interesse pubblico (amministrazione di risultato).
La conversione si è attuata in primo luogo nell’organizzazione del potere, con la creazione di agenzie fiscali gestite secondo criteri di efficienza basati sul rapporto costi/benefici. È la filosofia sottesa alla riforma che nel 2010 ha introdotto l’accertamento “impoesattivo”, rendendo superflua la cartella per tutti i tributi gestiti dalla Agenzie. Ed è la stessa linea su cui si pone anche l’ultimo DDL per la riforma fiscale, prevedendo l’orientamento del sistema della riscossione “verso obiettivi di risultato piuttosto che di esecuzione del processo” (art. 8, comma 1, lettera a).
Sul piano della funzione il fenomeno ha corrispondenza nella creazione del complesso di istituti partecipativi, dispositivi, deflattivi, e anche collaborativi, attraverso i quali le occasioni di soluzione della crisi del rapporto di imposta, diverse dall’adozione di un atto di imperio, si moltiplicano. E trova compimento nella disciplina dei vizi dell’atto, consegnata alle regole sull’efficacia e l’invalidità contenute nella legge n. 241/1990, con il c.d. depotenziamento dei vizi formali dell’art. 21-octies.
L’effetto congiunto di questi fattori è il rafforzamento del ruolo delle Agenzie come depositarie delle conoscenze tecniche necessarie al funzionamento della “macchina” fiscale, dirette ad assicurare il reperimento delle risorse richieste dal finanziamento dello stato sociale.
Il secondo fenomeno che si osserva quando si guardano le cose dal punto di vista delle garanzie può essere letto come un adattamento dei modi della giurisdizione all’evoluzione in senso efficientistico dell’attività delle Agenzie delle Entrate, intesa come amministrazione di risultato; ed è la trasformazione dei caratteri del processo tributario di impugnazione di atti, indotta dalla tendenza della giurisprudenza ad ampliare i mezzi di accesso del giudice al fatto, sottraendolo al monopolio cognitivo dell’amministrazione.
Si tratta di una tendenza diffusa, che da ultimo pare sottesa, ma con ricadute sul piano delle garanzie che giustificano fondate riserve, anche all’ordinanza della Corte di Cassazione che ha ammesso l’integrazione postuma della motivazione dell’accertamento carente, compiuta mediante deduzione in giudizio di fatti e ragioni di diritto ivi non esplicitate, quando “percepibili” (non si dice “espressi”, né “percepiti”) nella fase procedimentale, e a condizione che ciò non menomi il diritto di difesa del contribuente (Cass, ordinanza n. 28560/2021).
La pronuncia prelude a un accesso del giudice al fatto che si compie attraverso le deduzioni integrative dell’Agenzia, e che per questa ragione è sottoposto alla selezione compiuta da una parte del processo e non dell’altra, quindi secondo una logica surrogatoria dell’istruttoria di tipo inquisitorio, che l’art. 7, D.Lgs. n. 546/1992 non consente. Secondo la Corte, ciò può accadere in virtù di una ponderazione case by case tra ragioni dell’efficienza e ragioni della difesa, che è propria di un giudice concepito come organo dell’enforcement della legge di imposta, il quale restringe la funzione di garanzia alle ipotesi più gravi di lesione dei diritti del contribuente, con quale incidenza sul contenimento dei possibili deragliamenti della “macchina” fiscale non occorre evidenziare.
In questo contesto è evidente che la via per la valorizzazione dell’opera di Garante del contribuente si fa stretta. Non, però, fino a perdersi, se ci si collega alle potenzialità del testo dello Statuto del contribuente, e le si sviluppa alla luce delle proposte di integrazione di cui v’è buona testimonianza nel dibattito pubblico che accompagna i progetti di riforma della giustizia tributaria.
Da questo punto di vista è un segnale promettente, e va salutato con favore, che la relazione della Commissione consultiva per la riforma della giustizia tributaria indichi tra gli interventi diretti alla prevenzione del contenzioso l’introduzione nello Statuto di un effettivo
diritto al contraddittorio, e la previsione dei casi di autotutela obbligatoria, che sono anche i punti sui quali da più parti si chiede che le facoltà del Garante siano rafforzate (in questa logica muove pure il
disegno di legge delega per “l’integrazione e l’attuazione dello Statuto dei diritti del contribuente” del CNEL, approvata nella seduta del 19 ottobre 2021).
Dunque, ancora, contraddittorio e autotutela, le due “incompiute” dell’apparato di garanzie in favore del contribuente.
Le proposte di riconoscere al contribuente il diritto al contraddittorio prima dell’adozione di un qualsiasi atto capace di incidere sulla sua sfera giuridica sono note, e non occorre ripeterle. C’è quella dell’ANTI contenuta nel volume pubblicato lo scorso anno dal titolo “Lo Statuto del contribuente venti anni dopo”, che nasce dalla constatazione che la necessità di questo presidio non è venuta meno con l’adozione dell’invito obbligatorio dell’art. 5-ter, D.Lgs. n. 218/2000. Su questa linea si è posta anche la Commissione interministeriale sulla riforma della giustizia tributaria, come detto.
L’idea dell’ANTI è perciò di estendere il controllo del Garante sulle forme del procedimento al “rispetto dei diritti del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”. Oggi il Garante può segnalare eventuali disfunzioni, in casi più gravi anche alla DRE, al fine di un eventuale avvio di un procedimento disciplinare. L’integrazione proposta potrebbe aprire lo scenario a interventi più incisivi, come l’invio all’Agenzia di raccomandazioni o, anche, richieste di acquisire prove su circostanze dedotte a proprio favore dal contribuente, e poste al di fuori della sua sfera di controllo, perché per esempio detenute da terzi.
Per l’autotutela lo Statuto riserva al Garante un potere sollecitatorio, e secondo alcuni anche il potere di dare avvio alla procedura, in modo che all’Agenzia resti di proseguirla, informandolo dell’esito. Anche la Commissione sulla riforma della giustizia tributaria riconosce nella previsione di un’autotutela obbligatoria un fattore di prevenzione del contenzioso.
Se da un lato ciò potrebbe fare venire meno il potere surrogatorio di attivazione previsto dall’art. 13 dello Statuto, dall’altro nel nuovo contesto si potrebbe pensare a un effettivo coinvolgimento del Garante nella fase decisoria del procedimento (per esempio attraverso la previsione di una controfirma).
È, insomma, probabile che la crescita di peso dell’amministrazione risponda a un’esigenza oggettiva, che non è di per sé una minaccia agli equilibri tra poteri, ma a condizione che sia bilanciata da adeguate istituzioni di garanzia.
Le proposte di intervento che si aggregano attorno al ruolo del Garante possono offrire il perno di un nuovo spezzone dello Stato di diritto, capace di realizzare una diga di contenimento del rischio che il fenomeno si traduca in una inammissibile, quanto negli effetti dannosa, “fuga dalla legalità”.
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