Il settore attorno al quale, da tempo, si registra la maggior tensione tra approccio politico ed economico alla tassazione è quello degli immobili. Gli economisti che studiano le fattezze e le conseguenze delle imposte nutrono una sostanziale unanimità: gli enti locali devono essere finanziati dalle imposte sugli immobili, compresa, con un ruolo precipuo, la casa di residenza. E anche la delega fiscale propone che la parte ora statale dell’IMU vada ai Comuni. Ma a fronte di uno schieramento compatto dal lato della “scienza”, troviamo un fronte altrettanto unitario del mondo della politica, ostile a ripristinare qualcosa di simile all’ICI “prima casa”. Proporre oggi qualcosa di simile è, dunque, “fantascienza”; tuttavia, valga una nota di cautela. Oggi, in caso di “emergenza”, la tassazione della prima casa varrebbe come razionale segnale di saper reagire alle difficoltà.
Un criterio economico sempre alla ribalta è l’estensione della base imponibile. Salvo casi particolari, le imposte non possono che essere riferite o ai redditi o ai consumi o ai patrimoni. Dato un determinato livello di spesa pubblica, l’ideale sarebbe ripartire il suo costo su ogni elemento delle tre citate basi imponibili, in modo da poter applicare aliquote le più basse possibili (“pagare meno, pagare tutti”). E’ logico attendersi che se concentriamo la pressione fiscale su un particolare settore produttivo (o su uno specifico tipo di consumi o su un dato segmento di un Paese), questo sarà messo in difficoltà maggiori rispetto a quel che avverrebbe “spalmando” il medesimo prelievo complessivo su una base più ampia.
L’attuale sistema fiscale italiano presenta proprio questo difetto, tende ad essere selettivo, dovrebbe riguadagnare un approccio maggiormente “generalista”. Non a caso, anche recentemente il Fondo monetario internazionale ha raccomandato, ancora una volta, di ampliare la base imponibile.
Tasse che si vedono e tasse nascoste. Il settore attorno al quale, da tempo, si registra la maggior tensione tra approccio politico e approccio economico alla tassazione è quello degli immobili. La spiegazione deriva probabilmente dalla sua trasparenza. Mentre pochi sono in grado di stimare quanto paghino in imposte indirette (sui consumi) e sui redditi, quasi tutti sono coscienti quanto meno dell’ordine di grandezza della propria IMU. Se dal punto di vista dei governanti i tributi migliori sono quelli opachi, riconoscibili solo dagli specialisti, per un politico che voglia suscitare interesse e consenso con una polemica anti-tassazione il primo bersaglio è l’imposta sugli immobili; ciò è tanto più comprensibile se consideriamo che tra gli immobili è compresa la casa, ovvero il ricettacolo anche di tante emozioni legate alla famiglia.
Per l’equità. Il chiacchiericcio mediatico - politico attorno al catasto degli ultimi mesi poteva essere evitato in gran parte perché il catasto come mezzo per l’accertamento degli imponibili è strumento di equità orizzontale volto a porre situazioni uguali sullo stesso piano. La revisione periodica di un catasto, che sarebbe fisiologica anche in casi non così problematici come quello italiano, non serve per aumentare la pressione fiscale; a questo scopo si correggono le aliquote. In via di principio l’aggiornamento è “a parità di gettito”, condizione che però prevede che alcuni paghino di più (con riflessi politici negativi) e altri di meno (con riflessi politici probabilmente nulli).
Tuttavia, non sorprendentemente, il catasto nostrano soffre anche a causa dell’abusivismo edilizio che è fenomeno non solo del passato, sebbene non uniformemente distribuito sul territorio nazionale. L’Irpet (Istituto regionale programmazione economica della Toscana) stima che estendendo l’IMU agli immobili ora “fantasma” (escluse le abitazioni principali) ai Comuni deriverebbe un gettito aggiuntivo attorno ai 700 milioni.
Non si può non considerare che in questi ultimi tempi è maturata una motivazione ulteriore per mettere mano al catasto. I vari bonus edilizi, tra cui il 110% che è una percentuale inedita tra vari provvedimenti di incentivo a investire, si sono rivelati molto costosi per le casse dello Stato e hanno fortemente contribuito al forte rimbalzo del PIL registrato nel 2021. Nonostante la generosità delle facilitazioni abbia contribuito a renderle fruibili anche a operatori in non floridissime condizioni economiche, è probabile che i bonus siano andati a maggior vantaggio di soggetti abbienti. Dunque, la revisione del catasto, che è in sé necessaria, non priva la politica economica della tradizionale intonazione di favore per il mattone.
Un gettito significativo. Trascurando l’IRPEF e la cedolare sugli affitti, gli immobili gravati da tributi di tipo patrimoniale contribuiscono alle necessità di spesa dello Stato, nelle sue varie articolazioni, in misura consistente. Nel 2019 i Comuni hanno incassato 13,4 miliardi di IMU, cui vanno aggiunti (circa) 3,6 miliardi di IMU di pertinenza dello Stato (relativa agli immobili ad uso produttivo), nonché i proventi dell’imposta di registro e dell’imposta ipotecaria (rispettivamente 4,8 e 1,6 miliardi, molti dei quali dovuti alle compravendite). Sarebbe illusorio pensare che si possa scendere al di sotto di questi valori date le condizioni complessive della finanza pubblica e dell’economia.
Se si dovessero aprire spazi per alleggerimenti fiscali, questi non potranno che concentrarsi sulla remunerazione del fattore produttivo lavoro (cuneo fiscale). L’analisi di riferimento delle organizzazioni economiche internazionali propone una precisa gerarchia dei tributi in rapporto alla crescita: la ricetta è, a parità di gettito, meno tasse sul lavoro e sui profitti.
I Comuni. Nel caso italiano è augurabile una ricomposizione tra livelli di governo del prelievo sugli immobili secondo le linee indicate dalla stessa delega fiscale che, peraltro, non sembrano avere suscitato grande interesse nel dibattito corrente.
La delega fiscale non solo propone che anche la parte ora statale dell’IMU vada ai Comuni, ma prospetta un uguale passaggio anche per le imposte incidenti sulle transazioni immobiliari. L’idea è apprezzabile perché rafforzerebbe il rapporto tra il prelievo fiscale e le autorità che con la loro condotta (qualità e quantità di servizi, infrastrutture, piani di governo del territorio) più influiscono sul valore degli immobili, che sono per l’appunto i Comuni.
L’imposta di registro verrebbe trasformata in una tassa di modesto importo, mentre l’attuale gettito sarebbe recuperato con un leggero aumento di tutta l’IMU. Il passaggio richiederebbe presumibilmente un periodo transitorio di alcuni anni che varrebbe la pena di avviare perché le imposte sulle transazioni ostacolano la mobilità dei beni. In un certo senso, un’operazione di questo tipo potrebbe essere intesa come un’iniziativa a favore dei giovani, che più dei genitori o dei nonni sono interessati a vendere e comprare case.
Scienza, emergenza, fantascienza. Anche gli economisti che studiano le fattezze e le conseguenze delle imposte nutrono pareri discordanti su molti temi. C’è però un argomento che vede una sostanziale unanimità: gli enti locali devono essere finanziati da imposte sugli immobili compresa, con un ruolo precipuo, la casa di residenza.
C’è una serie di motivazioni condivise (che qui non riprendiamo e che sono fatte proprie dalla UE) riguardanti anche le motivazioni di spesa delle autorità locali. A fronte di uno schieramento compatto dal lato della “scienza”, troviamo, almeno apparentemente, un fronte altrettanto unitario del mondo della politica ostile a ripristinare, nel caso italiano, qualcosa di simile all’ICI “prima casa” che anni fa forniva un gettito oltre i 3 miliardi. Proporre oggi qualcosa di simile è, dunque, “fantascienza”; tuttavia, valga una nota di cautela.
Il debito pubblico italiano è sostenibile, ma i tassi d’interesse sono al rialzo; il ritmo di crescita del PIL sembra aver riassunto il ritmo svogliato degli ultimi venti anni; le incertezze connesse a guerre e pandemie non possono essere dimenticate. Il quadro volge al brutto. Nei primi anni ’90 con un rapporto debito/PIL nettamente inferiore all’attuale fu attuato un provvedimento grossolano come quello del prelievo straordinario sui depositi bancari ad una certa data.
Oggi, in caso di “emergenza”, la tassazione della prima casa varrebbe come razionale segnale di saper reagire alle difficoltà.
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