Lodevole che in sede di conversione in legge del decreto Agricoltura sia emersa l’esigenza di sviluppare la strategia per il contrasto al fenomeno del caporalato, di favorire l'evoluzione qualitativa del lavoro agricolo e di incrementare le capacità di analisi, monitoraggio e vigilanza sui fenomeni di sfruttamento dei lavoratori nell'agricoltura. E si sia deciso di istituire presso il Ministero del Lavoro il Sistema informativo per la lotta al caporalato nell'agricoltura quale strumento di condivisione delle informazioni tra le Amministrazioni statali e le Regioni, anche ai fini del contrasto del lavoro sommerso in generale. Coinvolti, con specifici compiti a fornire dati, in particolare, il Ministero dell'Agricoltura, l’INAIL, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro: ma perché non sono stati presi in considerazione i dati relativi alle ispezioni delle ASL? Il fatto è che il caporalato è un nemico assoluto, da combattere con tutte le forze, non soltanto nelle campagne.
Non sorprende, ed è anzi lodevole, che, il 4 luglio 2024, al Senato,
in sede di conversione in legge del
D.L. Agricoltura (
D.L. 15 maggio 2024, n. 63), sia emersa l’
esigenza di sviluppare la
strategia per il
contrasto al fenomeno del
caporalato, di favorire l'
evoluzione qualitativa del
lavoro agricolo e di
incrementare le capacità di
analisi, monitoraggio e vigilanza sui fenomeni di
sfruttamento dei
lavoratori nell'agricoltura. E dunque nell’art. 2-
quater si sia deciso di istituire presso il Ministero del Lavoro il
Sistema informativo per la
lotta al caporalato nell'agricoltura quale strumento di condivisione delle informazioni tra le Amministrazioni statali e le Regioni, anche ai fini del contrasto del lavoro sommerso in generale. Basti notare che, in particolare, il
Ministero dell'Agricoltura viene chiamato a mettere a disposizione l'anagrafe delle aziende agricole, i dati sulla loro situazione economica e il calendario delle colture, l’
INAIL i dati relativi agli infortuni e alle malattie professionali nelle aziende agricole, l’
Ispettorato Nazionale del Lavoro i dati relativi ai risultati delle ispezioni presso le aziende agricole, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano i dati relativi ai trasporti e agli alloggi destinati ai lavoratori del settore agricolo (ma
perché non i
dati relativi alle
ispezioni delle
ASL?).
Il fatto è che il caporalato è un nemico assoluto, da combattere con tutte le forze.
Ma si badi: non soltanto nelle campagne.
Illuminante è la giurisprudenza: oltre alle aziende agricole, sono coinvolte aziende operanti nei più diversi campi e territori anche attraverso il meccanismo degli appalti, a partire da quelli intra-aziendali: come abbigliamento, cantieri edili, raccolta rifiuti, autotrasporti, cantieri navali, allevamento avicolo, badanti.
Non a caso, in un’ultima sentenza della Cassazione del 21 giugno 2024, n. 24577, la stessa conferma la condanna di un datore di lavoro di numerosi lavoratori, anche irregolari, per aver diretto e promosso un'associazione per delinquere finalizzata ad attuare uno stabile sistema illecito di reclutamento e impiego di lavoratori in condizioni di sfruttamento, procurando il lavoro presso i vari cantieri edili, commissionando il reclutamento, sottoponendo i lavoratori a una condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione resa manifesta da profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro, o da violazione delle norme in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro, o da sottoposizione a umilianti o degradanti condizioni di lavoro e di alloggio, persino avvalendosi della collaborazione di professionisti disponibili ad attestare falsamente l'adempimento degli obblighi formativi.
Un fenomeno, per giunta, arrivato ultimamente ad assumere persino le impensabili sembianze della schiavitù. Come mette in luce anche qui la sentenza della Cassazione 3 luglio 2024, n. 26143 che conferma la condanna per il delitto di riduzione o mantenimento in servitù in quanto per cinque anni l’imputata, approfittando della condizione di vulnerabilità della vittima, l'aveva ridotta e mantenuta in uno stato di soggezione psicologica continuativa, della quale si era valsa per sfruttarla sul piano lavorativo in un’impresa di pulizia a un salario irrisorio. assoggettarla - riuscendovi al suo volere così da sfruttarne il lavoro. E non è nemmeno la prima volta. In una sentenza del 2 maggio 2022 n. 17095, la Cassazione fu impietosa. Annullò con rinvio l’assoluzione pronunciata in appello dopo una condanna in primo grado di più imputati per due reati come questi:
- associazione per delinquere ai sensi dell'art. 416 c.p. finalizzata al reclutamento di cittadini extracomunitari per la maggior parte tunisini e ghanesi introdotti clandestinamente in Italia oppure presenti irregolarmente sul territorio nazionale, da destinare allo sfruttamento lavorativo nella raccolta di angurie e di pomodori ed a tal fine mantenuti in condizione di soggezione continuativa; associazione, pertanto, diretta alla commissione di più delitti tra cui quelli di riduzione in schiavitù;
- e appunto riduzione in schiavitù prevista dall’articolo 600 c.p., perché riducevano e mantenevano numerosi cittadini extracomunitari, di nazionalità prevalentemente tunisina, ghanese e sudanese, in stato di soggezione continuativa, costringendoli a prestazioni lavorative nei campi in condizioni di assoluto sfruttamento; una volta reclutati dai caporali, in diretto contatto con le aziende richiedenti manodopera in agricoltura, i lavoratori, suddivisi in squadre, venivano sottoposti a ritmi “sfiancanti” per 10/12 ore al giorno, senza riposo settimanale, nella maggior parte dei casi in nero, percependo compensi di gran lunga inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi nazionali e comunque, inadeguati ed erano ospitati in casolari abbandonati e fatiscenti, privi di servizi igienici ed arredi, e costretti a corrispondere prezzi eccessivi e spropositati per la fornitura di alimenti e bevande e per il trasporto sui campi, trattenuti sulla “paga”; sfruttamento attuato mediante approfittamento della vulnerabilità legata alla condizione di cittadini extracomunitari irregolari delle vittime e mossi dal bisogno e minaccia di perdere il posto di lavoro in caso di “ribellione” e sottraendo loro i documenti.
E mi allarmò la duplice accusa allora mossa dalla Cassazione: ai magistrati di appello l’addebito di “un paradigmatico caso di miopia giudiziaria”, e alle istituzioni l’addebito di “una situazione di stratificato degrado ambientale ben nota anche alle istituzioni, che, verosimilmente, poco o nulla avevano fatto per porvi rimedio.
“Poco o nulla”.
Ecco perché mi rincuorò un’iniziativa annunciata il 28 ottobre 2022 dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro in collaborazione con la Procura Generale presso la Corte di Cassazione: la proposta di un “protocollo quadro di collaborazione tra Ispettorato Nazionale del Lavoro e Procure della Repubblica presso i Tribunali”, destinato a stabilire “principi e linee guida volti ad assicurare il proficuo svolgimento delle indagini in settori caratterizzati da rilevante allarme sociale”, e ciò proprio per soddisfare su tutto il territorio nazionale l’esigenza di una omogeneità e uniformità della collaborazione tra le Procure della Repubblica e l’INL. E quanto mai accattivante fu l’indicazione ivi contenuta degli ambiti prioritari di intervento. Basti riflettere che si richiamò la necessità di dare massima propulsione alle indagini, proprio per il reato previsto dall’art. 603-bis c.p., affinché venisse prestata dalla Polizia giudiziaria la massima attenzione a situazioni di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Ma allora come non restare stupiti se purtroppo ancora nel 2024 il protocollo quadro annunciato il 28 ottobre 2022 continua a restare lettera morta?
Un ulteriore dato appare allarmante, e meriterebbe attenzione sul piano istituzionale.
In questi ultimi anni, sta notevolmente cambiando la risposta dello Stato ai reati in materia di tutela del lavoro, dell’ambiente, della salute. Continua a svilupparsi, pur tra non poche difficoltà (una su tutte: le ricorrenti prescrizioni), una risposta imperniata sulla responsabilità penale delle persone fisiche. Ma a fianco della responsabilità penale delle persone fisiche si affaccia sempre più diffusamente un altro tipo di responsabilità: la responsabilità amministrativa degli enti, e, dunque, delle imprese. Si tratta di una responsabilità già prevista dal D.Lgs. n. 231/2001. Ma è solo di recente che questa responsabilità è stata estesa a settori quali gli ambienti di lavoro e di vita.
Una tappa significativa è la legge 29 ottobre 2016, n. 199 sul caporalato, che - oltre a modificare il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di cui all’art. 603-bis c.p. - ha previsto per tale reato la responsabilità amministrativa (art. 25-quinquies, D.Lgs. n. 231/2001). Solo che poi nel settore del caporalato questa responsabilità continua a ricevere un’attenzione del tutto marginale. Non a caso, isolate rimangono, le pronunce della Cassazione in materia.
A conferma di quanto ancora debba essere richiamata l’attenzione al riguardo degli organi di vigilanza e dei magistrati.
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