Anticipare mensilmente in busta paga il TFR è possibile? Non secondo l’INL, che nella nota 616 del 2025 ha fornito chiarimenti e messo in luce i rischi e le sanzioni per i datori di lavoro. Quali sono? Se nel corso di un accesso ispettivo gli organi di vigilanza dovessero trovarsi di fronte a situazioni nelle quali il TFR è inserito in busta paga con cadenza mensile dovranno avvalersi dell’istituto della prescrizione. L’ispettore fissa un termine per l’eliminazione delle irregolarità riscontrate e se ciò non avviene, applica una sanzione amministrativa, non diffidabile, compresa tra 500 e 3.000 euro. Quali sono gli altri aspetti che possono essere oggetto di controlli?
Le risposte contenute nella nota nascono da tale circostanza, accertata nel corso di più accessi ispettivi: si è in presenza, in tali casi, di fronte a situazioni non riconducibili alla casistica espressamente prevista dall’
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art. 2120 c.c. o a quella, a tempo, e non più in vigore prevista nella
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legge n. 190/2014 che, peraltro, aveva avuto scarsissimo riscontro, atteso che era prevista la tassazione ordinaria e non quella, ridotta, in uso al termine del rapporto di lavoro.
Le indicazioni dell’INL, giunte con il conforto dell’Ufficio Legislativo del Dicastero, partono dal fatto che il TFR, accantonato mensilmente, è, nella sostanza, una somma di denaro che il datore di lavoro è tenuto a corrispondere all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, rappresentando una sorta di supporto economico (sul quale la tassazione è minore) al termine dello stesso. Il diritto al trattamento di fine rapporto sorge, a norma dell’
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art. 2120 c.c., al momento della cessazione del rapporto come ricorda la
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Cassazione con la sentenza n. 3894 del 18 febbraio 2010 e, da quel momento, partono i termini per la eventuale prescrizione del diritto.
Disciplina del TFR
Tutta la materia è regolamentata dall’
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art. 2120 c.c. sia per quel che concerne le
modalità di calcolo del
TFR che le
condizioni, in presenza delle quali, il lavoratore può chiedere l’anticipazione del trattamento di fine rapporto (con almeno otto anni alle dipendenze dello stesso datore e per una sola volta nella misura massima non superiore al 70% rapportato al trattamento al quale avrebbe avuto diritto mal momento della richiesta).
Per completezza di informazione, ricordo che le richieste sono soddisfatte, annualmente, entro i limiti del 10% degli aventi titolo e, comunque, del 4% del numero totale di dipendenti.
La casistica legale fa riferimento a:
a) spese sanitarie per terapie o interventi necessari certificati dal servizio sanitario pubblico;
b)
acquisto della prima casa di abitazione per sè o per i figli. A seguito della
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sentenza della Corte Costituzionale n. 142 del 5 aprile 1991 è stati cassato il riferimento alla documentazione notarile, attesa l’illegittimità dichiarata del comma 8 lettera b) “nella parte in cui non prevede la possibilità di concessione dell’anticipazione in ipotesi di acquisto in itinere comprovato da mezzi idonei a dimostrarne l’effettività” (ad esempio, il versamento, già avvenuto, di una caparra);
c)
periodi di fruizione dei
congedi parentali e periodi di fruizione di congedi correlati alla formazione alla luce di quanto previsto dall’
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art. 7 della
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legge n. 53/2000.
Gli accordi individuali e la contrattazione collettiva possono stabilire condizioni di miglior favore: quest’ultima, in presenza di più istanze, può fissare criteri di priorità.
Di conseguenza, appare logico pensare che la contrattazione collettiva possa ampliare il contingente annuo dei potenziali destinatari, senza che, però, possa essere abbassata la percentuale legale dell’anticipazione e siano, altresì, valide le clausole che prevedano un aumento di tale ultima percentuale, avuto sempre riguardo al “maturato” accantonato, mentre, a mio avviso, solleva qualche dubbio la possibilità di reiterare, più volte, l’anticipo maturato se ciò dovesse andare a discapito di altri lavoratori potenziali destinatari.
Per quel che riguarda, invece, gli accordi individuali non ritengo, a mio avviso, possibile un accordo sulla mensilizzazione del TFR che maturerà, inserito nella busta paga, in quanto la quota di TFR non è ancora maturata e non è, quindi, nella disponibilità del lavoratore: tutto questo, a prescindere, dalla tassazione e dalla contribuzione ordinaria che, l’INPS, in caso di controllo, continuerà a chiedere.
Pagamento del TFR ogni mese: la posizione dell’INL
Sulla scorta di quanto previsto dalla legge, l’INL ha effettuato alcune considerazioni che possono così sintetizzarsi:
a) il comma 10 dell’
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art. 2120 c.c. è l’ultimo e, sistematicamente, si pone al termine della disciplina delle anticipazioni del TFR: esso va, quindi, inteso, che sia i patti individuali che la contrattazione collettiva possono definire regole migliori ai fini dell’accoglimento delle sole domande di anticipo del TFR maturato;
b) quanto detto sub a)
non può, assolutamente,
riguardare il
trasferimento del TFR maturato mensilmente in busta paga, cosa che comporta, anche alla luce dell’
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ordinanza della Cassazione n. 4670 del 22 febbraio 2021, una maggiore retribuzione che viene assoggettata alla normale contribuzione e che non può essere oggetto di tassazione separata. La Corte, confermando la decisione adottata dai giudici di secondo grado, su ricorso dell’INPS che chiedeva il pagamento dei contributi su anticipazioni del TFR avvenute al di fuori delle ipotesi previste dalla legge, ha ribadito la bontà della posizione espressa dall’Istituto;
c) per i datori di lavoro che occupano più di 50 dipendenti è, come noto,
obbligatorio il
versamento della
quota di TFR ad un Fondo privato o, in mancanza, al
Fondo di Tesoreria disciplinato dall’
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art. 1, commi 756 e 757 della
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legge n. 296/2006 e dal conseguente
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D.M. applicativo del 30 gennaio 2007. Il versamento, per i datori di lavoro interessati, al Fondo di Tesoreria è obbligatorio (con le relative sanzioni in caso di mancato versamento) e le quote sono indisponibili, al di fuori delle ipotesi di pagamento anticipato previsto dall’
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art. 2120 c.c..
d) se nel corso di un
accesso ispettivo gli organi di vigilanza dovessero trovarsi di fronte a situazioni nelle quali il TFR è inserito in busta paga con cadenza mensile, oltre che verificare che sugli importi sia stata corrisposta la usuale contribuzione in quanto le somme vanno intese come normale retribuzione, dovranno avvalersi dell’
istituto della prescrizione ex
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art. 14 del
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D.L.vo n. 124/2004, richiamando il datore di lavoro al rispetto della norma.
Come funziona l’istituto della prescrizione
Per completezza di informazione ritengo necessario fornire alcune indicazioni sull’istituto della prescrizione prevista dall’
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art. 14 del
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D.L.vo n. 124/2004. Ci si trova di fronte ad un
provvedimento, non obbligatorio, ma
immediatamente esecutivo, che un ispettore del lavoro (e, soltanto, esso, tra gli organi di vigilanza) può adottare nei confronti di un datore di lavoro allorquando rilevi irregolarità in materia di legislazione sociale e di lavoro non soggette a sanzioni penali od amministrative. L’irregolarità può derivare anche da un mancato rispetto del CCNL applicato, come sostenuto, da tempo, dall’INL e come confermato dal
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Consiglio di Stato con la sentenza n. 2778 del 21 marzo 2024. L’ispettore fissa un
termine per la
eliminazione delle irregolarità riscontrate e se ciò non avviene, applica una
sanzione amministrativa, non diffidabile,
compresa tra 500 e 3.000 euro.
Contro la disposizione è ammesso ricorso, entro 15 giorni dalla ricezione, al Direttore dell’Ispettorato territoriale del Lavoro, il quale decide entro i quindici giorni successivi. Se il termine finale viene superato senza che quest’ultimo si sia pronunciato, vale la regola del silenzio-rigetto. La presentazione del ricorso non sospende l’esecutività del provvedimento.
Ovviamente, è sempre possibile il ricorso al giudice amministrativo, negli usuali termini previsti.
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