La proposta di inserire, tra le misure emergenziali, l’abolizione di un’imposta rilevante - e complessa, per la sua funzione sostitutiva di diversi tributi e contributi preesistenti - come l’IRAP non sembra condivisibile: a parte il dato, già di per sé significativo, che verrebbe soppressa l’imposta che finanzia larga parte della spesa sanitaria, introducendo un elemento di incertezza nel momento meno adatto, la soppressione dell’IRAP non può essere estrapolata da un quadro di misure strutturali complessive destinate a semplificare e razionalizzare il nostro sistema tributario. La scelta del Governo di eliminare con una misura una tantum saldo 2019 e prima rata di acconto 2020 per l’IRAP è dunque preferibile rispetto all’ipotesi di soppressione del tributo e, in definitiva, giustificabile. Anche se si presta a sua volta a qualche obiezione.
Nel discutere delle misure che Governo e Parlamento devono prendere per fronteggiare l’emergenza sanitaria in corso, emerge giustamente il riferimento a misure strutturali destinate a regolare il post emergenza, periodo sul quale grava l’incognita, non certo secondaria, della persistenza o meno del rischio contagio e della possibilità che una serie di attività continuino ad essere limitate o condizionate.
In un
precedente intervento su IPSOA Quotidiano, quando l’emergenza non era emersa nella sua devastante portata, avevo auspicato che la gestione della stessa non impedisse di portare avanti, su di un piano parallelo,
progetti e prospettive di riforma delle quali il Governo aveva annunciato l’imminente progettazione (con riferimento principale, ma non esclusivo, alle imposte sui redditi; certamente in sede di riforma una profonda riflessione andrà fatta anche sull’IRAP, assai mutata nei suoi 23 anni di applicazione).
I due piani però sono diversi ed è bene non confonderli; soprattutto, rispetto ad un’emergenza ben più profonda e lunga di quanto si potesse prevedere.
È per questo che la proposta di inserire, tra le misure emergenziali, l’abolizione di un’imposta rilevante - e complessa, per la sua funzione sostitutiva di diversi tributi e contributi preesistenti - come l’IRAP non mi sembra condivisibile; a parte il dato, già di per sé significativo, che verrebbe soppressa l’imposta che finanzia larga parte della spesa sanitaria, introducendo un elemento di incertezza nel momento meno adatto, mi pare che la soppressione dell’IRAP non possa essere estrapolata da un quadro di misure strutturali complessive destinate a semplificare e razionalizzare il nostro sistema tributario.
La scelta del Governo, di eliminare con una misura una tantum saldo 2019 e prima rata di acconto IRAP, è dunque preferibile rispetto all’ipotesi di soppressione del tributo e in definitiva giustificabile, anche se si presta anch’essa, dal mio punto di vista, a qualche obiezione.
La prima è che una misura straordinaria, limitata a una parte dell’IRAP dovuta per il 2019 e per il 2020, accomuna (quasi) tutti i contribuenti, senza riuscire a individuare soggetti meritevoli del beneficio e non (in realtà, un’esclusione dal beneficio viene prevista, secondo un parametro abbastanza discutibile, come si dirà).
In buona sostanza, si gioverà della soppressione del saldo e della rata di acconto il contribuente che abbia un significativo importo da pagare a tale titolo, mentre per diversi altri contribuenti il beneficio sarà abbastanza modesto, se non irrilevante (piccoli imprenditori, ancor più piccoli professionisti già esclusi dal tributo). Ma soprattutto, tra i primi, ossia tra coloro che conseguono un risparmio significativo, ve ne potranno essere diversi che in realtà dal periodo pandemico o non hanno avuto significative ricadute, o addirittura hanno visto svilupparsi i loro fatturati e i loro margini.
Quindi un beneficio di scarsa portata per alcuni e nel contempo eccessivamente generoso con chi non sia stato coinvolto dai profili di crisi; questo secondo aspetto è particolarmente difficile da accettare, soprattutto in un periodo in cui l’obbligo di contribuzione, per chi continua ad avere capacità contributiva, diventa di importanza essenziale per la finanza pubblica.
È vero, certamente, che la soppressione ideata dal Governo è semplice, rinunciando alla complessa verifica di chi abbia effettiva necessità del beneficio: e tuttavia la fiscalità dell’emergenza - a differenza di quella strutturale, che prescinde dalle contingenze - dovrebbe forse far prevalere in modo ancora più deciso l’esigenza di equità, su quella di semplicità applicativa. Nella misura in cui si rivolge a una platea indeterminata senza riuscire a identificare i soggetti più bisognosi di aiuto (turismo e trasporti, tanto per fare esempi alla portata anche di chi non è economista, come chi scrive) la misura introdotta sembra andare proprio nella direzione che molti hanno criticato (degli incentivi a pioggia, non selettivi).
Consapevole di questa obiezione, il Governo ha circoscritto l’abbuono IRAP escludendo soggetti di fatturato superiore a 250 milioni, le pubbliche amministrazioni, le imprese dei settori finanziario e assicurativo.
La selezione, che in parte rinnova per l’ennesima volta scelte aprioristiche degli ultimi anni, non convince del tutto, sia perché anche al di sotto della soglia di fatturato non è da escludere che vi siano situazioni tutt’altro che penalizzate, sia per la assai dubbia indifferenza alla crisi delle aziende assicurative (che in questi giorni hanno lanciato grida di allarme) e delle stesse imprese bancarie, alle prese con la difficoltà di concessione dei finanziamenti agevolati e con i problemi nascenti dalla composizione dei loro portafogli.
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