La leadership femminile è una strada (ancora) in salita
Come capita spesso, sull’argomento esistono una buona notizia e una meno buona.
Quella positiva è che, negli ultimi anni, in un po’ tutto il mondo, sono stati fatti notevoli passi avanti nel cercare di appianare le diseguaglianze tra uomini e donne nel mercato del lavoro (e non solo).
La cattiva notizia è che queste disuguaglianze sono ancora molto evidenti e, secondo l’ultimo “Global Gender Gap Report” del World Economic Forum, ci vorranno forse e “solo” 131 anni per raggiungere una vera e propria parità di genere.
E in Italia?
Possiamo dire che anche il nostro Paese si barcamena tra pessimismo e (cauto) ottimismo.
Da un punto di vista strettamente economico, il cosiddetto “gender pay gap” - cioè, la differenza di retribuzione oraria lorda tra donne e uomini – da noi si attesta intorno al 5%, una cifra che resta immotivatamente alta, ma che per fortuna è al di sotto della media europea (pari al 12,7% nel 2022).
Inoltre, in virtù della legge Golfo-Mosca del 2011, che ha fissato al 40% le quote delle donne nei board di società quotate in borsa e delle controllate pubbliche, l’Italia è - insieme alla Francia - l’unico Paese dell’Unione ad avere già più del 90% di aziende in regola con le norme previste dalla direttiva europea Women on boards, che punta proprio a raggiungere una quota femminile pari ad almeno il 40% tra gli amministratori non esecutivi nei Cda o del 33% tra tutti i consiglieri d’impresa, entro giugno 2026.
Stando poi ai dati raccolti dal social professionale LinkedIn, dal 2016 al 2024 il numero di donne sul mercato del lavoro è cresciuto anche nelle posizioni di leadership (+1%).
Ma – e lo avevamo anticipato che sarebbe arrivato poi un “ma” -, se è vero che le donne lavoratrici attualmente rappresentano il 46% di tutti gli occupati, quelle che poi riescono a raggiungere posizioni apicali e di leadership si fermano solo al 32%, ovvero il 14% in meno.
Nonostante gli anni di innegabili progressi, dunque, anche le analisi di LinkedIn mostrano come le donne siano ancora ampiamente sottorappresentate tra i vertici aziendali. Una tendenza simile si registra in diversi Paesi europei – 30% in Spagna, 34% in Francia, 23% in Germania – ma questo non può, e non deve, consolare.
I tre settori dove la gender gap è più marcata
In particolare, sono tre i settori dove la differenza fra la rappresentanza femminile della forza lavoro e quella nelle posizioni apicali è più marcata: si tratta di sanità, retail e istruzione. Tutti e tre sono settori in cui l’occupazione femminile è più alta rispetto alla media, ma dove le posizioni di leadership sono ancora in capo a uomini. Un “bel” paradosso.
Alcuni numeri, diffusi sempre dal report di LinkedIn: nella sanità, la rappresentanza femminile è pari al 63%, ma solo il 38% di donne è in posizione di leadership. Lo stesso accade nel retail, dove la differenza è del 16,4%, e nell’istruzione dove le donne rappresentano il 61% del totale, ma sono solo il 45% a ricoprire un ruolo al vertice.
Ma quali sono gli ostacoli che impediscono alle aziende di allinearsi rispetto alla parità di genere?
Ovviamente da una parte continua a perdurare l’annosa questione della conciliazione tra vita privata e lavoro: alle donne, com’è noto, spettano più carichi e responsabilità familiari e questo va naturalmente a incidere sulle possibilità di carriera.
In primis, c’è poi un fattore culturale: per molte aziende, infatti, promuovere le donne in ruoli dirigenziali non solo non è considerata una priorità, ma non è neanche visto come un possibile vantaggio per l’azienda stessa.
In secondo luogo, gli uomini che, come abbiamo visto, si trovano a occupare in maggioranza le posizioni apicali tendono a sottovalutare l’importanza del gender gap, continuando a rimandare la risoluzione del problema, perché in fondo non riguarda loro (che, anzi, potrebbero sentirsi in qualche modo minacciati dalle “quote rosa”, rimanendo incuranti degli importanti benefici che la diversità ai vertici porta invece in azienda).
Gli uomini, insomma, devono imparare a riconoscere i vantaggi e le opportunità che l’inserimento di più donne nelle aziende implica. Senza questo tipo di collaborazione tra le parti, infatti, il cambiamento potrebbe essere ancora troppo lento e difficile da produrre.