Il concetto di talent attraction sta sostituendo quello di ricerca del personale, perché attrarre talenti è il modo più efficace per ottenere nuove risorse umane di qualità. Le aziende devono offrire non solo un lavoro e uno stipendio, ma anche condizioni di lavoro e valori all'avanguardia. E per evitare che la giovane risorsa non voli subito verso altri lidi non bastano le dichiarazioni, ma serve dimostrare che le potenzialità di crescita sono concrete. Ne parliamo nell'articolo e nel podcast, in compagnia di Delia Pesenti, direttore del Personale di HP Italy.

Se c’è una difficoltà che oggi accomuna pressoché tutti, studi professionali e aziende, è quella di trovare personale qualificato e, soprattutto, motivato. 
A sentire i titolari di aziende e i responsabili del personale, oggi è più difficile di un tempo trovare giovani (e meno giovani) disposti al sacrificio e ad investire sul lavoro. 
Il sacrificio di cui si parla varia da situazione a situazione: si va dalla disponibilità a viaggiare, fino alla disponibilità ad investire sul percorso di carriera, passando dalla disponibilità a fare gli straordinari e altri investimenti di questa natura. 

Segui i Podcast su:

Le ragioni chiamate a spiegare il fenomeno, paradossalmente in un mercato dove si lamenta dall’altro versante la difficoltà a trovare impieghi giustamente retribuiti, sono le nuove abitudini dei giovani meno inclini che in passato a fare sacrifici sul lavoro. Qui si chiamano in gioco famiglia, social, cultura, benessere come cause alla base. 

Abbiamo già trattato nell’articolo ‘Lavoro come progetto di vita: cosa è cambiato dopo la pandemia’ il fenomeno delle Great Resignation e siamo entrati nelle dinamiche del lavoro viste dai giovani, per cercare di capire cosa cercano oggi e perché lasciano se non sentono di aver trovato il posto gusto.
In questo articolo, cercheremo di vedere le cose dal punto di vista dell’azienda, per capire cosa può offrire ai giovani e, più in generale, alle nuove generazioni di lavoratori, e come condurre in modo efficace il processo di selezione.

 

Dalla retribuzione alla talent attraction

Di nuovo un termine anglosassone ad individuare un fenomeno pienamente affermato nel mondo del lavoro, ossia che il modo migliore per garantirsi nuove risorse umane in azienda è attrarle, più che cercarle. 

In passato, non accadeva certo questo: fino a circa un decennio addietro, salvo poche aziende multinazionali con brand planetari conosciuti al grande pubblico, tutte le altre aziende offrivano lavoro e ciò bastava. Abbiamo visto come il rapporto fosse basato sul sinallagma do ut des: lavoro verso retribuzione. Ciò bastava. Il lavoro è sempre stato una esigenza per poter guadagnare e vivere; le aziende offrivano questa possibilità.

Nel migliore dei casi, durante il colloquio, il momento negoziale era concentrato sul quantum, sull’aspetto retributivo. In pochi casi i percorsi di carriera già facevano capolino in fase di assunzione e tantomeno si parlava del clima aziendale, della qualità della vita in azienda, di gender equality, di welfare e di altre tematiche oggi divenute parte integrante del colloquio, fino ai temi ESG (Environmental, Social, Governance) da cui emergono i valori dell’azienda, il suo credo, il suo stile. 

Parallelamente, in questa precedente fase del mercato del lavoro – durata decenni – le aziende si impegnavano a “cercare” il nuovo personale in funzione delle specifiche esigenze di organico di volta in volta emerse. Il processo aveva di solito inizio con l’incarico dato ad una società specializzata all’intermediazione di lavoro per reperire le figure di interesse. 
Nell’epoca del web, quindi con l’inizio del nuovo millennio, una apposita sezione “Lavora con noi” compare sul sito aziendale come porta di accesso al recruiting e gli HR cominciano a selezionare i candidati cercandoli in appositi portali di matching domanda-offerta di lavoro, con offerte pubblicate su quotidiani e, infine, con l’uso dei social network, a partire da quello più votato al mondo del lavoro per eccellenza: Linkedin. 

Quale che fosse il canale prescelto, la dinamica fino ad un decennio addietro era pressoché sempre la stessa: l’azienda che cerca nuove figure da inserire nell’organico offrendo sostanzialmente la retribuzione e possibilità di carriera. 

 

I nuovi contenuti del lavoro

La situazione si inverte negli ultimi anni, fino a diventare diametralmente opposta con l’arrivo della pandemia. 
Le giovani generazioni valutano tanti altri parametri, oltre la retribuzione, prima di entrare in azienda; valutano le condizioni di lavoro ad ampio raggio: dalla distanza del luogo di lavoro, alla possibilità di smart working, alle reali opportunità di carriera, alla qualità del clima interno, al welfare aziendale, alla tutela di aspetti quali la maternità, la gender equality, fino alla valutazione dei valori aziendali e del suo impatto nella società e sull’ambiente. 

Se il lavoro non è più solo una fonte di retribuzione, ma un luogo dove realizzare sé stessi, le aziende necessariamente devono cominciare a rispondere a questa esigenza giovanile e dei lavoratori in generale. 
Il web e i social rendono possibile il flusso di informazioni che un tempo era impensabile ed ecco allora che i giovani raccolgono informazioni sull’azienda prima di avventurarsi in un colloquio, si confrontano tra di loro e valutano ben oltre l’aspetto retributivo per capire se quella scelta – che li porterà a condividere la maggior parte della giornata con colleghi, più che a casa con i propri familiari – è in linea con i propri valori e il proprio progetto di vita. 

Qualcuno ora potrebbe obiettare che molti giovani tutte queste accortezze non le seguono e sono molto meno attivi di quanto stiamo indicando in queste righe; probabilmente in molti casi è così, ma questi lavoratori “distratti”, superficiali, improvvisati, a pensarci bene forse non sono il capitale umano motivato che state desiderando avere nelle vostre organizzazioni. Ovviamente, c’è una larga fetta di lavoratori che affronta il colloquio di lavoro in modo improvvisato, arraffazzonato e spesso lo vive come uno dei tanti tentativi “tanto cosa mi costa”… Questi sono i lavoratori che cambiano più spesso, che sono eternamente insoddisfatti e che si lamentano in continuazione sul luogo di lavoro. Ecco, noi qui non stiamo considerando questa tipologia, che non è di certo un buon “investimento” per una azienda. 

Il nostro riferimento è, invece, alle risorse umane motivate, che vogliono crescere, che vogliono investire sulla propria carriera, che hanno a cuore la propria vita privata, così come quella professionale, che hanno idee chiare sui propri valori e sulle nuove esigenze della collettività. Questa fascia di lavoratori più che cercarla le aziende devono imparare ad attrarla. Non a caso l’espressione anglosassone è “talent attraction”, quindi l’attrazione del talento. Con esso si intende il talento in tutte le sue forme, che ciascuno, messo nelle ideali condizioni, può far emergere. Rientrano nel talento di una persona la sua passione, la dedizione, la tenacia, l’integrità, la conoscenza specialistica, l’intuito, l’empatia, il problem solving, il team working, e perché no: la solarità, la positività, la simpatia e lo humor. Vero balsamo queste competenze nella vita quotidiana in azienda, dove gli ostacoli e le frizioni non mancano mai.

 

Talent extraction

Se, dunque, l’azienda oggi sa che deve offrire ben altro oltre alla retribuzione, se sa che le migliori risorse – i c.d. talenti – si attraggono, più che cercarli, deve anche creare le reali condizioni per far fiorire tali talenti.

In sostanza, non basta dichiarare in fase di selezione quali possibilità di carriera esistono, se poi non sono realmente percorribili; non basta menzionare il welfare e la tutela della gender equality, se poi non ci sono reali attività volte a realizzarle; così come non basta parlare di valori, di stile e di cura dell’ambiente e della società, se poi non viene di fatto realizzato tutto ciò nelle piccole e grandi scelte aziendali. Un errore di questo tipo rappresenterebbe per l’azienda un vero boomerang, in quanto di fronte alla delusione la giovane risorsa prende velocemente il volo verso altri lidi, con conseguente problema per l’azienda, che si vedrebbe costretta a ricominciare le ricerche, effettuare le selezioni e inserire le nuove risorse. Insomma: un pessimo investimento, con perdita di tempo, soldi e tanto stress. 
Per evitare questo, non bastano le dichiarazioni, servono azioni coerenti dell’azienda, che deve fare ciò che dichiara e saper dichiarare (valorizzare) ciò che fa. 

Sono due le fasi del processo che porta al vero investimento sui talenti e a formare un capitale umano in azienda: 
1) saper comunicare con efficacia il proprio valore (diventare aziende sexy agli occhi del pubblico), in modo che i candidati migliori possano venirne a conoscenza ed essere attratti da esse 
2) saper creare le concrete condizioni lavorative e ambientali in cui la risorsa su cui l’azienda ha investito (il suo capitale umano) possa emergere e dare il meglio di sé. Insomma, un processo win-win.

 

La selezione del personale

Ultimo aspetto da considerare è come è cambiata la selezione del personale da un punto di vista pratico-organizzativo. 

Un tempo alla pubblicazione della job description seguiva il colloquio di lavoro sempre in presenza, una prima selezione e successivamente un secondo e a volte un terzo colloquio, in un processo ad “imbuto” di scrematura successiva.

Oggi la situazione è molto più “fluida”, grazie a nuovi strumenti di comunicazione e ad una nuova cultura del processo di selezione. 
Innanzitutto, non è più solo l’azienda che seleziona il candidato, ma anche l’inverso. Il candidato che seleziona l’azienda. 

In secondo luogo, i colloqui sono oggi più “veloci” in tutti i sensi (tempi per fissare l’incontro e durata del colloquio), ma anche su più fasi

Una azienda un minimo strutturata tecnologicamente sa che alla ricezione del curriculum vitae segue quasi sempre una email di conferma dell’interesse dell’azienda e di fissazione di un primo colloquio spesso in videocall. Molte aziende richiedono già in fase iniziale, accanto al curriculum classico anche un breve video di presentazione (video cv). Altre aziende questo video lo richiedono solo ai candidati selezionati per il colloquio successivo. Il primo colloquio sempre più frequentemente dopo la pandemia avviene a distanza, su piattaforma di videoconference. Ciò semplifica il processo, velocizza lo stesso e richiede meno energie da entrambe le parti. Ovviamente stiamo parlando di posizioni lavorative che permettono un colloquio da remoto; chi cerca un operaio specializzato, un cameriere o un addetto al tornio, necessariamente condurrà il colloquio in modo tradizionale in presenza. 
Ma torniamo al colloquio principalmente di impiegati, manager e professionisti. 

Dopo il colloquio in videoconference seguirà per chi ha superato questo step il colloquio in presenza, dove spesso si ha la possibilità di mettere alla prova con un assessment il candidato, per vedere all’atto pratico come gestisce singole situazioni che si potrà trovare a gestire.

La tecnologia, la nuova mentalità e una nuova cultura del lavoro hanno modificato, dunque, sia la fase di recruiting preliminare, che quella di selezione delle risorse umane.
 
Leggi anche:

1) Big Quit, Great Resignation, Quiet Quitting: le nuove parole del mercato del lavoro - Episodio 1 Podcast 'Capitale umano'
2) Lavoro come progetto di vita: cosa è cambiato dopo la pandemia – Episodio 2 Podcast ‘Capitale umano’