Il welfare non è il fringe benefit
Molto spesso si sente parlare di Fringe Benefit (vedi la legge di Bilancio 2025 ed il tran tran sui mille/duemila euro) ed ancor più di Welfare come panacea di tutti i mali dal punto di vista retributivo.
E spesso si trovano precisazioni dell’Agenzia delle Entrate che ricordano cosa siano questi istituti dal punto di vista giuridico, ribadendo che il welfare non è retribuzione.
Se ne parla in relazione al contratto psicologico e li (welfare e fringe benefit) si vede come la soluzione per dare soddisfazione al proprio personale e, ancor più, per trovare e trattenere talenti.
Molto spesso, tuttavia, ne parliamo senza conoscerne i meccanismi.
Ci si dimentica, infatti, che, come tutti gli strumenti, essi hanno un valore solo se inseriti all’interno di una visione, di un progetto o, al limite, di un programma e che le risorse umane non si governano con la sola retribuzione.
Non si ricorda che il contratto psicologico ha lo stesso valore del contratto giuridico.
Ci si dimentica che esistono da molto tempo (welfare e fringe) e che su di essi tante cose sono state dette e fatte. In tal modo, non si ricorda che il nostro TUIR è del 1986 e che da allora sono passati tanti anni e tante filosofie. L'ultima di queste (nata nel 1997) si fonda sul principio di omnicomprensività, ovvero che tutto ciò che arricchisce il dipendente è tassato. Non si ricorda che anche i rimborsi spese sono imponibili fiscalmente e contributivamente in forza del fatto che abbiamo una detrazione per la produzione del reddito.
Welfare e fringe benefit sono differenti
Ci si dimentica che welfare e fringe benefit sono cose differenti, che hanno scopi e strutture diverse
I fringe benefit sono retribuzione esente o parzialmente esente od esente fino ad un certo limite, o entro certi valori.
Il welfare è tantissime cose (benessere in senso lato), che spesso coincide con opere, servizi ed utilità sociali erogate dal datore di lavoro.
Ci si dimentica, in sostanza, di tante cose.
In mezzo al guado, tra parlare e dimenticarsi, ci sono le direzioni risorse umane, del personale o come sempre più di stanno definendo: le direzioni che gestiscono le persone. Compresse tra rispetto dei costi, gestione dei talenti e tante altre cose.
La consapevolezza che i fringe benefit non sono welfare significa avere una filosofia gestionale etica e consapevole, significa non subire, ma gestire con competenza le persone che ci vengono affidate.
Capire questa differenza, ed utilizzarla per il bene dell’azienda e dei singoli lavoratori e lavoratrici, è la competenza che ci viene richiesta. Non si può usare il welfare per comprimere i costi così come non si possono dare fringe benefit per fare politiche sociali.
Il segreto è nella pianificazione successiva alla comprensione delle differenze e del cosa serve alla propria azienda ed ai propri lavoratori.
Dobbiamo ricordarci che il welfare fatto a Milano è diverso dal welfare fatto a Oristano e che i fringe benefit che si vogliono utilizzare devono essere diversi per un aiuto commesso 5° livello del CCNL commercio e per un dirigente di una azienda del settore automotive, perchè i bisogni e i desiderata sono diversi.
Sono strumenti e come tali debbono essere compresi ed utilizzati.
Il welfare, che è un costo che si aggiunge alla retribuzione, si rivolge al contratto psicologico e deve mirare a far sentire il lavoratore accolto, compreso e coccolato. Deve rispondere alle sue esigenze e far si che l’azienda diventi sempre più un luogo in cui ben-vivere ed in cui poter esprimere anche un po' di vita personale, sia che siamo commessi, sia che siamo manager. Qui la comprensione dei bisogni espressi ed inespressi diventa focale. Se l’azienda come welfare in una città come Roma eroga un servizio, in forza del quale ti vanno a fare la spesa, eroga benessere perché viene dato tempo e tranquillità, ciò, anche per un commesso, vale più sicuramente del denaro. Se l’azienda ti dona assistenza domiciliare per i genitori anziani sta erogando pace, attenzione e benessere. Donare benessere è lo scopo del welfare.
I fringe benefit sono retribuzione e, come tale, serve ad arricchire il dipendente e questo deve essere chiaro, perché se è vero che annullano il cuneo fiscale e rendono la retribuzione netta uguale a quella lorda, è altrettanto vero che bisogna conoscerne i limiti in maniera profonda. I fringe benefit, essendo retribuzione, vivono i meccanismi di quest'ultima, che spesso possono diventare un’arma a doppio taglio. Si pensi al superamento, per chi non ha figli, del limite dei mille euro per l’erogazione di beni e servizi perché l’azienda ti ha regalato il pacco di Natale (del valore di 30 euro). Ci sarà un effetto devastante visto che la persona in questione si troverà circa trecento euro tra tasse e contributi. Dare fringe benefit significa erogare retribuzione.
Conclusioni
Con questo si è cercato di far capire che oggi lavorare con questa differenza è un banco di prova per le direzioni risorse umane o come le vogliamo chiamare, perché su di esse si giocano il loro ruolo e la loro reputazione.
Bisogna avere la capacità di non deludere le aspettative, trovando soluzioni credibili e sapendo che devono essere sostenibili nell’accezione etimologica del termine. Questo perché oggi più che mai la direzione risorse umane si trova a vivere la sua dicotomia tra contratto psicologico e contratto economico, dovendo integrare sempre più spesso questi due aspetti che vogliono dire benessere e produttività.
Il welfare ed i fringe benefit sono il simbolo di questo percorso e della necessità che retribuzione e soddisfacimento dei bisogni viaggino di pari passo per tutta la popolazione aziendale e per tutte le persone che formano la organizzazione a cui apparteniamo.
Abbiamo parlato di welfare e fringe benefit, ma le stesse cose si possono dire per inquadramento e posizione nell’organizzazione, per lavoro in sede e smartworking, per orario di lavoro e flessibilita’. E così via. Oggi il grande lavoro da fare è, nel limite delle risorse disponibili, far sì che l’azienda crei benessere, sia fisico e psicologico che economico, al massimo possibile.
Significa fare del proprio meglio, non fare l’impossibile.
Non è essenziale (anche se è importante) l’abbondanza, o la scarsità, di ricchezza e di possibilità, bensì la filosofia con cui si fanno le cose. Si può essere felici con poco, purchè quel poco sia frutto dello sforzo massimo possibile in quel momento.
Questo, nel profondo, significa capire che il welfare non sono i fringe benefit e che i fringe benefit non sono il welfare.