Vediamo le principali soluzioni che possono essere adottate per creare le migliori condizioni di lavoro e far in modo che i dipendenti restino in azienda sentendosi importanti, adeguatamente considerati e sentano l’ambiente come un luogo in cui realizzare sé stessi, perchè sono i migliori collaboratori il vero capitale dell’azienda, per cui l’azienda deve fare ciò che può perché restino al suo interno il più a lungo possibile, invece di cercare altrove occasioni di carriera.
Mario Alberto Catarozzo affronta l’argomento in questo articolo e nel settimo episodio del podcast ‘Capitale umano’, in cui intervista il Dott. Paolo Chiriotti Chief Human Resources and organization Officer di TIM.
 

Le persone sono il vero patrimonio di un’azienda e come ogni patrimonio va preservato valorizzato e protetto. 
Abbiamo visto nelle puntate precedenti di questa serie di articoli e di podcast, le nuove dinamiche che stanno caratterizzando i cambiamenti del mercato del lavoro, ridisegnando un settore che segue necessariamente i cambiamenti culturali, sociali, economici e tecnologici dell’era post pandemica. Se, dunque, è chiara l’importanza della talent attraction per le aziende (v. Selezione del personale: nuove dinamiche per attrarre i migliori collaboratori), in modo da garantirsi collaboratori talentuosi, appassionati e motivati, altrettanto importante è la capacità delle stesse di riuscire a “trattenere” le migliori risorse (c.d. retention) e saper far germogliare in ciascuna le potenzialità perché diventino competenze (c.d. talent extraction). 

 

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Retention dei collaboratori

La Employee retention o Human resource retention consiste nell’insieme delle politiche aziendali dedicate ad investire specifiche energie e risorse per creare le migliori condizioni di lavoro per i lavoratori.  Sono i migliori collaboratori il vero capitale dell’azienda, per cui l’azienda deve fare ciò che può perché restino al suo interno il più a lungo possibile, invece di cercare altrove occasioni di carriera. In passato, si partiva dall’idea che il turnover fosse fisiologico, quindi un “male necessario” e che i collaboratori che cambiavano lo facevano perché poco attaccati al lavoro o troppo attaccati ai soldi, per cui erano pronti a vendersi al miglior offerente e solo pochi di essi erano veramente fedeli. 
Oggi la situazione è completamente mutata. 
Il turnover è fisiologico entro certi limiti, dopodichè manifesta spesso problemi di clima e di contesto aziendale, diventando, quindi segno di patologia. 

Turnover

Cos’è che oggi spinge, dunque, i dipendenti di un’azienda a cambiare e cercare altro? 
Oggi le principali cause di turnover volontario, quindi di dimissioni volontarie dal posto di lavoro, sono riassumibili in:
- ragioni economiche: quindi stipendi troppo bassi in relazione alle prestazioni offerte, oppure retribuzioni insufficienti alle esigenze personali e familiari
- work-life-balance: orari di lavoro inconciliabili con la vita privata, carichi di lavoro eccessivi, difficoltà logistiche
- clima aziendale: cattive relazioni con i propri responsabili, difficoltà relazionali con i colleghi, eccessivo stress, clima negativo
- carriera: impossibilità di crescita professionale, incertezze sui percorsi di crescita, ripetitività delle attività, promesse non mantenute
- insoddisfazione personale: mancanza di coinvolgimento nelle attività, impossibilità di realizzare la propria persona, distanza con le proprie passioni, frustrazioni lavorative e mancanza di riconoscimento professionale e personale.
Ad una analisi più attenta dei dati, incrociata con i feedback dei lavoratori, ciò che emerge sempre di più è che le ragioni principali per cui viene lasciato il posto di lavoro non sono prettamente economiche, anche se spesso questa è la prima ragione che si adduce, perché anche la più semplice e immediata, bensì ragioni emotive
Le persone lasciano i posti in cui non stanno bene, dove non sono felici, non si realizzano, non si vedono riconosciute e non sentono che ci possano essere sbocchi professionali e momenti di crescita. 
Se le persone non sono motivate e si sentono trattate come un numero non lavorano bene; lavorano per necessità e non per volontà a convinzione. 

Employee retention

Chiediamoci ora cosa possono fare le aziende per trattenere i collaboratori, in un’ottica win-win.  Bisogna ricordare, infatti, che le politiche e le strategie di HR retention hanno un costo, ma che è decisamente maggiore il costo che si paga nel non adottarle
Un imprenditore illuminato e un HR competente sa bene quanto costa il turnover; vuol dire continuamente attivare ricerche di nuovo personale, effettuare le selezioni e poi formare il nuovo personale. Questo richiede tantissimo tempo e ha costi diretti (chi fa le selezioni, i consulenti esterni, il tempo pagato dei nuovi ingressi che devono imparare) e costi indiretti, come l’impatto emotivo sul clima aziendale e anche sul brand, nonché la perdita di know how che il dipendente porta con sè. 
Se in un contesto aziendale il turnover è continuo, immaginiamoci cosa penseranno i lavoratori che restano in azienda, quale messaggio arriverà loro da questi continui cambi di personale. Pensiamo poi ai clienti, soprattutto delle aziende di dimensioni più piccole, dove spesso il contatto con la clientela è più stretto, che vedranno continui cambi di personale; l’immagine dell’azienda non ne gioverà sicuramente.
Dunque, adottare politiche di retention non solo è eticamente corretto, perché vuol dire creare delle buone condizioni di lavoro per i dipendenti, ma è anche strategico dal punto di vista del business. La regola è semplice: perché vi sia un equilibrio duraturo è necessario che tutti stiano bene, dipendenti e azienda (intesa come proprietà e azionisti).

Le strategie di retention

Quali strategie adottare, dunque, per trattenere i collaboratori in azienda? 
Partiamo da due considerazioni: 
1) gli esseri umani sono fatti di emozione, più che di ragione; 
2) bisogna dare punti di riferimento precisi perché le persone non entrino in ansia.
Tutte le attività che strategicamente l’azienda adotterà e l’Ufficio del Personale metterà in atto devono essere ispirate a questi due principi. Vediamo le principali soluzioni che possono essere adottate per creare le migliori condizioni di lavoro e far in modo che i dipendenti restino in azienda sentendosi importanti, adeguatamente considerati e sentano l’ambiente come un luogo in cui realizzare sé stessi.

Piani di crescita e di carriera

A nessuno piace sentirsi stagnante, fare sempre le stesse cose ogni giorno, sentirsi un numero e non avere in mano il timone del proprio destino. 
Quindi la prima cosa da fare è creare sin dal momento dell’assunzione un piano di crescita in cui vengano definite le potenziali tappe professionali del dipendente. 
Vuol dire creare una scheda collaboratore con le sue caratteristiche e legare al raggiungimento di obiettivi la crescita professionale. 
L’idea è che il collaboratore continui a crescere, ad imparare, migliori nelle competenze e quindi porti di più all’azienda e debba avere di più. Non parliamo solo di aspetti economici, quali l’aumento di stipendio o premi, che di per sé vanno bene, ma soprattutto di aumenti di livello, di crescita di ruolo e funzioni, di nuove responsabilità, gratificazioni
In questo modo, se esiste un percorso di crescita ed è condiviso con l’interessato, quest’ultimo può essere l’artefice del proprio destino; si sentirà motivato, sentirà che l’azienda punta su di lui e che c’è una gerarchia da scalare, un cammino da compiere. 
Al contrario, non sapere se e quando si potrà crescere, rimanere nell’incertezza per anni, non sapere quali siano i criteri per farlo, percepire la mancanza di meritocrazia, distruggerà il morale delle persone, li demotiverà e alla prima vera occasione cambieranno.

Clima interno

Fondamentale saranno poi le politiche che si prenderanno cura del clima interno. 
Quando si parla di clima si apre un mondo che va specificato. Il clima è composto dalla relazione tra i colleghi, che va incentivata con attività di team building, con attività di coaching, con momenti di condivisione come i retreat aziendali; anche la predisposizione di aree che facilitino le relazioni umane all’interno dell’azienda sono importanti: l’area mensa, l’area relax, la macchinetta del caffè e spazi di condivisione; la comunicazione interna è altrettanto importante, quindi il far circolare le informazioni in modo tempestivo, chiaro e centralizzato, così che le informazioni non viaggino per i corridoi di bocca in bocca (con tutte le distorsioni che conosciamo bene), ma giungano dall’alto in modo univoco. Questo, inoltre, verrà percepito anche come un gesto di cura e di attenzione verso i dipendenti, a cui l’azienda dedica tempo per comunicare le cose che riguardano la vita aziendale. 
Nel clima interno rientrano poi le relazioni gerarchiche con i propri responsabili. Garantire la cultura del feedback, per esempio, è fondamentale, così come trasmettere la cultura delle riunioni periodiche ben gestite e della delega correttamente utilizzata. 

Survey di clima

Per sapere se tutto funziona bene, se i responsabili gestiscono adeguatamente i propri collaboratori e se questi ultimi sono motivati e stanno bene esistono almeno due strumenti molto utili: le survey e le interviste individuali.
Le survey sono questionari scritti, erogati in modo anonimo mediante piattaforme digitali, che permettono agli intervistati di rispondere esprimendo le proprie idee, opinioni e stati d’animo. 
Le domande delle survey possono essere chiuse, quindi a risposta multipla se si vogliono raccogliere risultati percentuali, oppure aperte, se si vogliono raccogliere liberamente le opinioni degli interessati. 
Le interviste individuali sono, invece, colloqui individuali, condotti con diverse metodologie, per dare e raccogliere feedback. 
Esistono poi i famosi “360”, che sono questionari particolari diretti a valutare i team leader da parte dei più stretti collaboratori.
Attraverso questi strumenti non solo si raccolgono informazioni preziose che possono essere poi elaborate per procedere con interventi migliorativi sotto diversi profili (coaching, organizzativi, manageriali, formativi), ma si trasmette alle persone un messaggio chiaro: ci teniamo a voi, ci stiamo prendendo cura di voi, siete per noi importanti e non siete dei numeri.

Organizzazione e flessibilità

L’ultimo aspetto su cui la politica di retention è opportuno che investa è l’organizzazione del lavoro. 
Anche qui dobbiamo specificare: parliamo della dotazione tecnologica, laddove necessaria, e più in generale degli strumenti di lavoro adeguati all’esercizio delle attività. Fornire le risorse per lavorare bene è il primo messaggio dell’azienda per valorizzare le persone e investire sulle stesse. Al contrario, il messaggio percepito sarà che l’azienda non investe su di noi, non ci crede e non si occupa di fornirci gli strumenti adeguati. Cosa ne dite, la motivazione è stata alimentata?
Nell’organizzazione del lavoro rientrano anche la chiarezza dell’organigramma, del funzionigramma e delle procedure. Non avere chiarezza in merito vuol dire non sentire la struttura solida e quindi avere difficoltà a lavorare tra mille incertezze e vivere di ansie e stress. Alla prima occasione le persone prenderanno altre strade più sicure. 
Infine, la flessibilità dell’organizzazione: quindi orari di lavoro flessibili, smart working e tutto ciò che possa andare incontro anche alle esigenze personali di vita delle persone per quel famoso work-life-balance. 
A chiusura non può mancare anche l’investimento sulla formazione sia tecnica che soft skills delle persone. Alimentare la voglia di crescere, la spinta al miglioramento è il modo migliore per mantenere le persone attive, farle sentire sempre “giovani” perché non si finisce mai di apprendere, migliorare e quindi vedere che ha una sua evoluzione il percorso professionale e, perché no, di vita. 

 

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